La ragione di Benedetto XVI

Nell’anniversario della loro morte, avvenuta a distanza esatta di un anno (31 dicembre 2021, mons. Luigi Negri – 31 dicembre 2022, papa Benedetto XVI), pubblichiamo un estratto del libro di mons. Luigi Negri, Il cammino della Chiesa. Fondamenti, storia e problemi (ed. Ares), nel quale l’importante questione della ragione è indicata come uno dei punti decisivi del magistero di papa Benedetto XVI. Il brano si conclude con l’augurio che la Chiesa possa riconoscere pienamente la grandezza intellettuale e magisteriale di questo pontefice, attribuendogli il titolo di dottore della Chiesa.


Decisivo, per comprendere fino in fondo il momento attuale è sicuramente anche il magistero di Benedetto XVI, in particolare quanto da lui evidenziato a riguardo della grande tematica della ragione. Le sue parole a Ratisbona, il discorso mai pronunciato all’università La Sapienza a Roma, l’incontro con il mondo della cultura a Parigi, il discorso al Reichstag, le sue encicliche sono sicuramente un contributo decisivo per la soluzione della grave crisi che ha investito l’uomo contemporaneo. È necessario, infatti, recuperare «il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione» (Benedetto XVI, Incontro con i Rappresentati della scienza – Regensburg, 12 settembre 2006), come ha invitato a fare Benedetto XVI, se si vuole uscire dalle strettoie imposte dalla mentalità razionalistico-scientista e dalle sue conseguenze. Tale insegnamento si colloca nel solco profondo di quello del suo predecessore. Nella Fides et ratio, documento che proclama la sinergia strutturale, oggettiva e storica fra fede e ragione, Giovanni Paolo II ha sottolineato la necessità di «non perdere la passione per la verità ultima», riconoscendo nella fede «che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero», l’«avvocato convinto e convincente della ragione» (Giovanni Paolo II, Lett. enc., Fides et ratio, 56).

Copertina del libro Il cammino della Chiesa, edizioni Ares

Benedetto XVI ha saputo indicare con estrema chiarezza il passaggio epocale del nostro tempo: se l’epoca apertasi con la modernità è finita e viviamo in quella che molti chiamano post-modernità, ciò non significa che le sue contraddizioni e le sue conseguenze non siano ancora presenti. Benedetto XVI con il suo magistero ha invitato l’uomo a superare definitivamente la concezione illuministico-razionalista della ragione, che, oggi, tende a riproporsi, in modo ancora più radicale, attraverso il tecno-scientismo assoluto.

Se nel corso della modernità l’individualismo è confluito paradossalmente nell’affermazione dell’unico soggetto forte, quello politico, lo Stato assoluto, divenuto il vero soggetto della storia, ora l’individualismo, anche in questo caso annichilendo proprio sé stesso, conduce all’esaltazione del potere tecnocratico. La ragione, con cui ci misuriamo tutti i giorni, è una ragione tecno-scientifica, è una ragione che non sostiene l’uomo nel suo cammino verso la verità, ma l’uomo nell’esercizio del suo potere, potere di conoscere gli oggetti e di manipolarli, compreso anche l’oggetto a cui rischia di essere ridotto l’essere umano. Ecco perché, finita l’epoca delle ideologie politiche, Benedetto XVI ha considerato la tecno-scienza come la nuova inquietante prospettiva che grava sull’uomo: «Il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica, divenuta essa stessa un potere ideologico, che esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi rinchiusa dentro un a priori dal quale non potrebbe uscire per incontrare l’essere e la verità. In tal caso, noi tutti conosceremmo, valuteremmo e decideremmo le situazioni della nostra vita dall’interno di un orizzonte culturale tecnocratico, a cui apparterremmo strutturalmente, senza mai poter trovare un senso che non sia da noi prodotto. Questa visione rende oggi così forte la mentalità tecnicistica da far coincidere il vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente negato» (Benedetto XVI, Lett. enc., Caritas in veritate, 70). Noi rischiamo di essere dominati dalla tecno-scienza, ossia da una scienza completamente al servizio della tecnica manipolatrice.

Ratzinger ha voluto richiamare l’uomo alla radice più profonda della sua ragione. Infatti, l’affermazione della tecno-scienza, come forma assoluta di conoscenza, tradisce la ragione stessa: «La razionalità del fare tecnico centrato su sé stesso si dimostra irrazionale, perché comporta un rifiuto deciso del senso e del valore» (Benedetto XVI, Lett. enc., Caritas in veritate, 74). Tuttavia, la posizione di Benedetto XVI è tutt’altro che di condanna nei confronti della scienza e della tecnica, delle quali non si possono non riconoscere i grandi meriti e, soprattutto, il fatto che «nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia» (Benedetto XVI, Lett. enc., Caritas in veritate, 69). Risulta assolutamente chiaro, allora, come da parte di Benedetto XVI ci sia la denuncia della falsa pretesa della «ragione del potere e del fare» di essere «ragione intera» (Benedetto XVI, Lett. enc., Spe salvi, 23). Una tale ragione ha, infatti, gravi conseguenze sul piano sociale e politico: «Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di sottoculture, essa riduce l’uomo, anzi, minaccia la sua umanità» (Benedetto XVI, Discorso al parlamento federale tedesco, 22 settembre 2011).

Per questo motivo nel discorso agli uomini di scienza all’Università di Regensburg, nel discorso che avrebbe dovuto tenere nella sua visita all’università La Sapienza di Roma, che invece è stata impedita dall’opposizione laicista di alcuni professori, nella visita al parlamento tedesco, e anche in altre circostanze, l’insistenza di Benedetto XVI è stata posta sulla necessità di recuperare un adeguato concetto di ragione. Benedetto XVI ha rilanciato la questione della ragione, riportando in primo piano la dimensione della verità come esigenza costitutiva dell’uomo: «l’uomo vuole conoscere – vuole verità». È fondamentale che l’uomo contemporaneo «proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere» non «si arrenda davanti alla questione della verità» (Benedetto XVI, Allocuzione per l’incontro con l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”). Egli ha indicato come fondamentale recuperare la dimensione veritativa della vita. La cultura è cultura della vita, se è cultura della verità.

Mons. Luigi Negri e Benedetto XVI durante la visita pastorale del Pontefice alla diocesi di San Marino-Montefeltro – 19 giugno 2011

La ragione è l’espressione sintetica della personalità umana insieme all’affettività. Queste due dimensioni non devono essere separate, perché la ragione di cui parla Benedetto XVI è lo strumento di ricerca di tutto l’uomo. Non è propriamente la ragione che ricerca (la ragione cartesiana, kantiana, piuttosto che hegeliana); la ragione è la ragione di un uomo, è l’espressione della personalità umana. La personalità umana non è soltanto identificabile con la capacità di conoscenza; questa, piuttosto, viene chiamata a confrontarsi e a dialettizzare con la grande questione del bene. La domanda sulla verità, diversamente da come è stata intesa dal razionalismo settecentesco o dalla tecno-scienza di oggi, «significa di più che sapere», perché «la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene» (Benedetto XVI, Allocuzione per l’incontro con l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”). La ragione non è lo strumento di un soggetto anonimo di conoscenza (dove anonimo, in realtà, vuol dire al servizio di chi detiene il potere, come avviene con la tecnica e la scienza oggi). La ragione che ricerca è la ragione di un uomo che vive, ossia che cerca e ama, che cerca e soffre. Una conoscenza razionale senza amore muta la conoscenza in ideologia, ma, per converso, un’intuizione del vero che sia soltanto affettiva, sentimentale, è puramente egoistica e risulta comunque evasiva. L’uomo deve perciò far proprio una modalità di esercizio della ragione che non pretenda di misurare la realtà e che cerchi di trovare la sintonia con il cuore che desidera il bene. La ragione è mossa dalla necessità logica di un susseguirsi di domande che scaturiscono nell’impatto con il reale: Io chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Qual è il senso ultimo della realtà? La ricerca delle risposte a questi interrogativi è lo spazio in cui si gioca la libertà. La ragione e la libertà sono l’espressione della persona che cerca il vero per essere fino in fondo sé stessa. In altri termini, considerando il problema dal punto di vista metafisico, la ragione dell’uomo non deve essere ridotta a misura della realtà, come vorrebbe il modello razionalistico, perché partecipa al Logos divino, che a sua volta, come risulta chiaro nella Rivelazione cristiana, è caratterizzato da ben altra natura: «Dio è Spiritus creator, è Logos, è ragione. . Ma questa ragione eterna ed incommensurabile, appunto, non è soltanto una matematica dell’universo e ancora meno qualche prima causa che, dopo aver provocato il Big Bang, si è ritirata. Questa ragione, invece, ha un cuore, tanto da poter rinunciare alla propria immensità e farsi carne» (Benedetto XVI, Allocuzione per l’incontro con l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”).

Benedetto XVI ha aperto una stagione che ha fatto riscoprire il fascino della ragione, come sfida, come cammino verso il mistero. E senza nessuna tentazione di nostalgia ha fatto sentire la grandezza della grande civiltà cattolica, della grande civiltà occidentale che – come disse a Regensburg – nasce dal coinvolgimento di movimenti perenni, che tali rimangono: il domandare greco, il profetismo ebraico, la fede cattolica e la libertà di coscienza moderna. Egli ha aperto orizzonti di incontro con l’uomo di oggi proprio in forza della sua straordinaria capacità di parlare della ragione e della fede, oltre ad avere dato quel contributo fondamentale alla ripresa di identità dell’avvenimento cristiano con la dichiarazione Dominus Iesus.

Benedetto XVI ha ribadito che l’unica possibilità per l’uomo contemporaneo è partire dalla grande domanda su Dio, cercando di superare definitivamente l’impostazione erronea, che ha caratterizzato buona parte della modernità, attraverso l’allargamento della ragione; infatti, «una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi» (Benedetto XVI, Allocuzione per l’incontro con l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”). Mi auguro davvero che la Chiesa a un certo punto riconosca la grandezza intellettuale e la grandezza del suo magistero conferendogli il titolo di dottore della Chiesa.


Brano tratto da Luigi Negri, Il cammino della Chiesa. Fondamenti, storia e problemi (ed. Ares), pp. 212 – 217.