Una festa familiare (il giorno dei Santi e la commemorazione dei defunti)

Pubblichiamo una breve riflessione di mons. Luigi Negri sui giorni dei Santi e dei Morti, tenuta il 2 novembre del 2017, presso il Centro Francescano Rosetum. Ognissanti e Commemorazione Defunti, una festa familiare, prima di Halloween

Pubblichiamo una breve riflessione di mons. Luigi Negri sui giorni dei Santi e dei Morti, tenuta il 2 novembre del 2017, presso il Centro Francescano Rosetum di Milano, all’interno del momento della Scuola di Comunità. Insieme al testo anche la registrazione audio del suo intervento.


Siamo qui, il due novembre, nel vivo della più bella festa, più umana dell’anno liturgico. Le altre feste, cominciando dalla Pasqua, sono grandi, sono vere. Ma la festa dei Santi e dei Morti è la festa più familiare che esista nella Chiesa dove l’umanità di Cristo diventa umanità di ciascuno di noi e l’esperienza della fede diventa l’esperienza di un quotidiano rivisitato nella fede e vissuto nella carità. Dunque, prima che sorgesse Halloween e che rappresentasse con i potenti mezzi dell’economia mondiale la vera grande festa di questi giorni, i Santi e i Morti sono qualcosa di straordinario.

I Santi. Sapete cosa vuole dire che la Chiesa cattolica, che può apparire talora come un piccolo gregge, come dice il Concilio, ma è mandata a tutti gli uomini come segno certo di verità, di libertà e di pace, apre il suo cuore ai santi? I Santi sono coloro che hanno onorato il proprio Battesimo; coloro che hanno vissuto la vita nella certezza della novità che solo Cristo porta; coloro che hanno investito l’esistenza quotidiana, caratterizzata dalle sue grandezze e dalle sue povertà, dai suoi limiti e dalle sue gioie, con la certezza che la vita dell’uomo appartiene al Risorto, ricordandoci che l’uomo è chiamato a fare esperienza di questa risurrezione. Il primo novembre la Chiesa contempla un immenso popolo di risorti, di generazione in generazione, diversi per storia, temperamento, etnia, ma unificati potentemente dalla fede, dal riconoscimento di Cristo. La fede, come ci ha insegnato Giussani, non è semplicemente credere in Dio come contenuto di un’operazione di carattere intellettuale. Credere vuol dire riconoscere la sua Presenza fra di noi. Che Dio ci sia e che costituisca l’elemento fondamentale della vita, per questo basta la sola ragione. Tuttavia, come diceva mons. Amato Masnovo, citato nel testo di Giussani, la pura affermazione che Dio esiste non scalda il cuore. Invece la Verità deve scaldare il cuore perché altrimenti la vita si perde, la vita è perduta.

Dal punto di vista umano la ricorrenza di oggi (il giorno dei Morti) può essere ancora più significativo e impressionante: la Chiesa sente propri non solo i cristiani, ma tutti gli uomini, la generazione degli uomini che sono venuti al mondo, che hanno sofferto la loro vita, che hanno fatto bene ma anche tanto male, che hanno fatto o patito ingiustizie, che sono stati travolti da avvenimenti più grandi di loro che li hanno segnati fino alla distruzione (pensiamo alle guerre che hanno funestato la civiltà occidentale, soprattutto negli ultimi due secoli). A tutta questa massa di uomini la Chiesa apre il suo cuore e le sue braccia e dice «siete miei anche voi», in un modo misterioso, che forse non si riesce a giustificare e certo non si riesce a formulare. Ma non c’è nessuna vita venuta al mondo che non serva, perché la Chiesa ama ogni uomo che viene in questo mondo e lo ama come dice Gabriel Marcel: «Ama chi dice all’altro: tu non puoi morire». La Chiesa guarda a questa folla immensa di uomini e dice: «Se siete stati fedeli alla vostra umanità, all’essenza della vostra umanità, al movimento dell’intelligenza e del cuore, se non vi siete lasciati distruggere dal male vostro o della gente che vi circondava, se avete salvato anche solo un briciolo del desiderio di Dio, la vita non è inutile».

Io dico che si fa fatica a non essere cristiani davanti a prospettive come queste perché sono l’esaltazione dell’umano. La Chiesa costituisce l’ambito entro cui l’esperienza dell’incontro con Cristo diviene cammino, cammino educativo perché la Chiesa educa e se non educa, è inutile che ci sia.  E infatti dirò dopo il disagio di moltissimi, non solo chierici ma anche laici, a fronte di una Chiesa che sembra non avere altra responsabilità nel mondo che fare qualche azione da ONG.

Pensare che noi abbiamo in comune tutti i Santi e che noi possiamo aprire il nostro cuore agli uomini che sono venuti al mondo prima di noi, che vivono accanto a noi, con il peso della loro vita, e perciò non sentiamo niente estraneo a noi. Lo diceva uno dei primi apologisti, «sono cristiano e non sento niente di umano estraneo a me». Cristianus sum e non sento niente di ciò che è umano estraneo a me: il mangiare e il bere… Quando san Paolo e, poi, il Vangelo gettano le basi del nuovo umanesimo, parlano del mangiare e bere, del vegliare e dormire, del vivere e morire. Le dimensioni dell’umanità vengono salvate da Cristo, perché Cristo è il senso della vita che diventa esperienza. Se il senso della vita non diventa esperienza, se il senso della vita non diventa un’intensità più grande della vita, «un centuplo», rimane un’astrazione ideologica. Credo che tutti quelli che hanno fatto l’esperienza della compagnia con don Giussani, da vicino o da lontano, non possano non riconoscere con me che la frase che statisticamente ha ripetuto di più era la frase «chi mi segue avrà il centuplo quaggiù e la vita eterna». Una vita eterna non come una realtà straordinaria fuori dalla storia. Certo, si tratta di un avvenimento straordinario che avrà il suo compimento fuori dalla storia, ma che ha il suo determinarsi concreto e storico nella storia. La storia della vita cristiana è la storia di un cammino verso la risurrezione di Cristo che cambia i termini concreti della nostra esistenza.

Questo mi ha fatto partecipare con grande intensità a queste feste che sono le più umani del cristianesimo. Per questo nella nostra tradizione, credo soprattutto lombarda, erano i momenti della maggior partecipazione del popolo alla vita liturgica. Perché il popolo sentiva che queste feste esprimono una grande novità umana: parlare dei cristiani come dei propri fratelli e degli uomini come gente il cui destino ci interessa vuol dire che la testa e il cuore diventano più grandi. Il cristianesimo è un evento perché il cuore e l’intelligenza diventano più grandi. Se fosse soltanto l’affermazione dell’esistenza di Dio, ma questa esistenza non ci scaldasse il cuore, sarebbe un’affermazione, tutto sommato, in-significante, cioè che non ha significato.


Qui il file audio della registrazione (mons. Luigi Negri, 2 novembre 2017, Milano)