CAMISASCA: la vita di mons. Negri è stata evangelizzazione


Mons. Massimo Camisasca (Vescovo Emerito di Reggio Emilia-Guastalla)
Omelia della Santa Messa in suffragio di mons. Luigi Negri
Chiesa di Santa Maria degli Angeli e San Francesco – Milano
Sabato 3 febbraio 2024

(Letture: Gb 7, 1-4. 6-7; 1 Cor 9, 16-19.22-23; Mc 1, 29-39)


Siamo agli inizi della vita pubblica di Gesù. Egli è ancora confinato in Galilea, nella sua terra, nella terra non dov’era nato, ma dove aveva vissuto grosso modo trent’anni, vicino al suo lago, dove aveva da poco chiamato quattro pescatori, Giacomo, Giovanni, Simone e Andrea, i primi quattro. Ed è già insieme a loro. Fin dall’inizio Gesù non vuole essere solo, vuole essere insieme ad altri. Anche se ha lasciato la sua casa di Nazaret e sua madre, però per un po’ di tempo abita nella casa di Simone e di Andrea, dove era viva ancora la madre della moglie di Simone e abitava con loro.

Come è bello vedere questi inizi. I suoi primi passi. Subito comincia assieme ad altri e comincia facendo due cose: predicando e guarendo. Predica: «uscito dalla sinagoga», dice subito all’inizio il Vangelo; lì aveva pregato e presumibilmente predicato; e poi, più avanti, il Vangelo dice che «andò per tutta la Galilea predicando nelle loro sinagoghe». Guarisce: all’inizio un miracolo piccolo, piccolo, guarisce dalla febbre la suocera di Simone; ma poi guarisce da tanti e tanti altri mali e, soprattutto, libera dal demonio coloro che erano assillati da lui.

Passa il pomeriggio conversando con Giacomo, Giovanni, Simone e Andrea. E poi, verso sera, quando finalmente il sole cala e si può uscire, perché altrimenti fa troppo caldo, gli portano dalla città i malati da guarire. La sua fama, anche se siamo agli inizi, si era già diffusa e, soprattutto, il bisogno era tanto. Gente povera, gente malata, gente assediata da tanti incubi del passato, forse da tante illusioni, da tanti racconti, gente che spera in Gesù. Ed Egli non perde tempo ma poi arriva la notte e non ha finito di guarire. Ma per le persone di Galilea non c’è problema: prendono il mantello, se lo mettono attorno e stanno lì tutta la notte, sperando che  Gesù torni, convinte che torni, forse avevano ricevuto qualche mezza promessa. Gesù si ritira in casa ma, mentre tutti dormono, egli esce da solo per pregare. Ecco un’altra caratteristica fondamentale del Signore Gesù. Dove trovare la forza per parlare e per guarire, se non nella preghiera? Ormai è l’alba, la gente spera che esca di casa, non sa che se ne è già andato. E prendono Simone, quello che sarà poi Pietro, e gli dicono: «Vai a cercare il Maestro. È tutta notte che siamo qui. Abbiamo fatto chilometri e chilometri per venire qui. Abbiamo camminato a piedi e siamo distrutti, ma soprattutto siamo distrutti dalle nostre necessità». E chissà il povero Pietro! Che cosa avrà potuto dire? Perché Gesù aveva detto di no: «Io ho altri dai quali andare». Non è che Gesù fosse un ansiogeno, ma era come infuocato, sentiva fin dall’inizio della sua missione la necessità di raggiungere il più possibile tutti quanti i paesi della Galilea. Poi scoprì, a un certo punto, che in realtà avrebbe dovuto muoversi verso Gerusalemme.

In questa pagina commovente, che è l’inizio del Vangelo di Marco, possiamo trovare l’icona alla quale ogni missionario e ogni cristiano deve guardare. Non si può essere veramente cristiani, se in noi non brucia almeno un po’ questo fuoco che faceva dire a Gesù «non posso fermarmi», che gli faceva portare dentro di sé l’attesa degli uomini e delle donne, il loro grido, il loro tormento.

Se, dunque, in questa immagine iniziale, così efficace, che l’evangelista Marco ci dà di Gesù, possiamo trovare il riverbero di una vita cristiana e di una vita missionaria, possiamo guardare anche la vita di don Luigi in questa pagina del Vangelo. Ogni cristiano, in un modo o in un altro, partecipa della vita di Gesù e, nella misura dei doni ricevuti e della libertà con i quali li ha accettati, ne ripresenta la fisionomia.

Don Luigi era un uomo nello stesso tempo esuberante e riservato. Tutti noi che lo abbiamo conosciuto sappiamo quanto fosse esuberante: esuberante nella parola, esuberante nell’ansia apostolica che lo muoveva, esuberante nella molteplicità degli interessi. Allo stesso tempo riservato. Penso che pochi siano potuti entrare nell’intimo segreto della vita di don Luigi. Allo stesso tempo si concedeva a molti e si concedeva a pochi, rimaneva di fatto nel profondo del suo essere qualcosa di misterioso.

Che cosa tutti quanti abbiamo visto di lui alla luce di questa meditazione del Vangelo e delle Letture ascoltate? Innanzitutto quello che anche san Paolo ci ha detto oggi: «annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità». Luigi era mosso da una necessità interiore. Una necessità che nasceva dall’incontro con Cristo, realizzato tramite don Giussani, già al tempo del Liceo. Questo incontro con Giussani aveva messo dentro di lui una necessità, cioè aveva indirizzato tutta quanta la potenzialità del suo essere in questa urgenza dell’annuncio di Cristo come cuore della storia e significato della vita. Annuncio che don Luigi, anche per la cultura che aveva, esprimeva in molti modi, ma talvolta anche molto ingenuamente, proprio come affermazione della sua bellezza, che non ha bisogno di tante spiegazioni, perché è come un’evidenza dell’essere.

Si può dire che tutta la sua vita sia stata evangelizzazione, soprattutto attraverso la parola che forse costitutiva il dono più profondo che Dio gli aveva concesso. Non so se si possano applicare a lui le parole di san Paolo, che sono comunque molto indicate, «mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero», perché egli ha certamente dedicato una quantità di tempo indescrivibile a incontrare le persone e ne ha seguite migliaia e migliaia: ragazzi, giovani, famiglie, adulti. «Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io».

Forse anche le parole del Libro di Giobbe che abbiamo ascoltato si possono, in un certo senso, applicare alla sua vita: «L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario?». Il duro servizio sulla terra è il servizio che noi compiamo, che lui ha compiuto per il Signore e il paragone con il mercenario, sebbene possa sembrare molto duro, in realtà ha questo significato: il mercenario non sa, se non giorno dopo giorno, quando sarà chiamato e così anche noi andiamo scoprendo, giorno dopo giorno, il senso della nostra chiamata. Anche don Luigi ha scoperto, giorno dopo giorno, il senso della sua chiamata. E, forse, non sempre nella nostra vita tutto è chiaro, tutto è manifesto; non sempre tutto è senza contraddizione. Ma ora a don Luigi, nella luce di Dio, questo «duro servizio sulla terra» certamente appare come la cosa più bella che Dio poteva regalargli.


Omelia di mons. Massimo Camisasca, Chiesa di Santa Maria degli Angeli e San Francesco – Milano, 3 Febbraio 2024

Nell’immagine in evidenza: Guarigione della suocera di san Pietro, Chiesa del Signore, Mistra, Grecia