La potenza intellettuale che si inchina all’umiltà di Dio


Pubblichiamo il file audio e la trascrizione dell’intervista sul significato dell’Epifania, rilasciata il 5 gennaio 2008 da mons. Luigi Negri alla giornalista Isabella Piro per Radio Vaticana.


L’Epifania è la solenne manifestazione dell’Incarnazione di Dio, della Presenza di Dio in Gesù Cristo; rivelazione che viene innanzitutto percepita, come ha ricordato molte volte Giovanni Paolo II, fin dalla sua prima Epifania, dalla grande cultura: i Magi che vanno verso Betlemme sono la cultura che cerca il Mistero e che percepisce il segno di una singolare vicinanza, di un singolare approssimarsi del Mistero alla vita e alla ricerca degli uomini. Il Papa disse allora: “bisogna lasciare andare i Magi a Betlemme”. E aggiunse: “bisogna che anche noi andiamo con i Magi a Betlemme”.

Come reagisce la grande cultura davanti al Mistero di Dio?

Davanti a Gesù Cristo la cultura, che cerca il senso profondo della vita, si incontra con una Rivelazione definitiva. Il Mistero a lungo cercato, non senza fatica, non senza contraddizioni, non senza ritorni, è ormai una Presenza di fronte alla quale inginocchiarsi ed adorare, offrendo i frutti migliori di questa ricerca.

È giusto dire che oggi si avverte una maggiore esigenza dell’Epifania del Signore?

Io credo che, oggi più che mai, noi siamo quasi costretti a prendere coscienza in modo più approfondito dell’Epifania. Siamo, infatti, secondo me, di fronte a una nuova Epifania della fede. Verso la Chiesa forse, insieme a tanto odio, insieme a tanta volontà di eliminazione addirittura fisica, c’è una nuova attesa della cultura seria, cioè della cultura che ha rifiutato qualsiasi rattrappimento ideologico della ragione e cerca invece il senso della vita dispiegando ampiamente la ragione, le sue possibilità, la sua tensione alla ricerca, il suo indomabile amore alla verità. Io credo che oggi i cristiani siano quasi costretti ad aprire la Rivelazione, perché la Rivelazione di Cristo continua nella presenza e nella testimonianza della Chiesa, … ad aprire la Rivelazione, a manifestare la definitività dell’incarnazione di Dio di fronte a questa umanità veramente laica, cioè quella che ha superato ogni tentazione ideologica ed è ritornata a vivere la ricerca profonda del senso della vita.

È solo il Vangelo di Matteo che nomina i Magi. Potremmo dire che le loro figure rappresentano la potenza che si inchina di fronte all’umiltà di Dio?

La potenza intellettuale che si inchina all’umiltà di Dio, come invece l’arroganza del potere politico non solo non si piega, ma tenta già un’eliminazione fisica. È interessante questa dialettica: mentre la cultura alta, la cultura che esprime le esigenze profonde dell’uomo, quindi, innanzitutto, l’esigenza della libertà e della verità, si piega di fronte a questo avvenimento, il potere, che è la religione di coloro che lo detengono e la religione di coloro al quale il potere si impone, sente la minaccia incombente della Rivelazione perché la Rivelazione è una chiamata: ponendo la verità definitiva di Dio nella storia, chiama contemporaneamente gli uomini ad assumersi la propria libertà.

Oro, incenso e mirra furono i doni che portarono i  Magi a Gesù Bambino. Cosa simboleggiano questi tre elementi?

C’è la versione tradizionale per la quale l’oro esprime tutta la gloria della vita umana, della ricerca umana; l’incenso questa volontà di adorazione, di devozione; la mirra in qualche modo anticipa il cammino doloroso del Signore, la morte e la risurrezione, perché la mirra serviva a disporre il cadavere di coloro che erano morti. Io credo che, comunque, al di là di quest’interpretazione, che non deve essere necessariamente messa in discussione, mi sembrerebbe più adeguato oggi percepire che nei tre doni si esprime la tensione alla verità e anche il senso dell’impossibilità da parte della ragione umana di arrivare alla verità. E, quindi, la venuta dei magi e l’incontro dei Magi a Betlemme è veramente un’icona di quella che Giovanni Paolo II, nella Fides et ratio, chiamava l’inevitabile sinergia di fede e di ragione che si attua poi con un potenziamento reciproco di queste due grandi facoltà umane.

Nella tradizione si parla anche di un quarto Mago che si sarebbe fermato lungo la strada. Significa che ci si può perdere lungo la strada di ricerca del Signore?

Certissimamente. Abbiamo ancora in mente quella straordinaria frase di san Tommaso d’Aquino per la quale la ragione ricerca inequivocabilmente il mistero dell’essere e lo ritrova, non senza gravi difficoltà, non senza una lunga ricerca e non senza l’esperienza di rovinosi errori. Quindi occorre una tensione per la ricerca della verità affidata soltanto alla ragione, alla capacità umana, occorre per esempio una grande risorsa di moralità: è impensabile che una ricerca del vero venga fatta soltanto con una intelligenza intesa nel senso cartesiano o kantiano. La ricerca della verità è una ricerca insieme dell’intelligenza e del cuore. Quindi lungo il cammino ci si può smarrire, si può addirittura idolatrare il punto a cui si è arrivati nella ricerca e identificare l’assoluto con quello che si è contingentemente trovato in quel momento. Quindi il quarto Mago è, in qualche modo, l’immagine della ragione che cammina e fa esperienza dei suoi limiti, che solo la gratuità della fede può sanare perché anche la ragione ha bisogno di essere sanata da quella bellissima immagine del Cristo medico che Benedetto XVI ha evocato, in modo così commosso e commovente, nella Spe salvi.

L’iconografia classica pone  i Magi all’interno del presepe. Dal punto di vista delle immagini, in particolare per i giovani che guardano molto a questo tipo di linguaggio, c’è un insegnamento particolare che possono loro trasmettere i re magi?

Io credo che sono entrati nella casa del Signore certamente perché il Signore li ha chiamati, ma certamente perché si sono identificati con questa chiamata. Io credo che i Magi che penetrano dentro il piccolo ambito dove Gesù, come dice la liturgia di questi giorni, “giace nella mangiatoia, ma già governa l’universo”… credo che questa entrata sia la dimostrazione che l’unica moralità dell’uomo sia amare la verità più di sé stessi. I Magi hanno amato la verità più di sé stessi e, quindi, si sono consegnati a un segno come la cometa, anziché perseguire soltanto quello che fino ad allora avevano trovato con la loro intelligenza. Ecco, io credo allora che siano un segno significativo anche per i giovani perché credo che, a un certo punto, debbano decidere se seguire la domanda di verità che è contenuta nel loro cuore o accettare quella multiforme reattività in cui tante energie vengono sciupate e anche tante vite vengono distrutte.

La stella cometa che li ha guidati fino al Signore che cosa rappresenta?

Rappresenta il fatto che il Mistero che si ricerca va infinitamente al di là di tutte le possibilità di identificazione sul piano della pura ricerca, della pura concettualizzazione umana e, quindi, che tocca al Mistero in qualche modo corrispondere alla ricerca umana, venire incontro alla ricerca umana. E la cometa è come un segno, un simbolo di questa disponibilità del Mistero a guidare direttamente l’umanità all’incontro con lui. È segno del Mistero ma è segno del Mistero già presente. Ma c’è tutta una simbologia, per esempio anche nella cultura greco-classica. Pensiamo all’immagine bellissima di Socrate che dice “oh… se venisse dall’alto il demone a confortare il nostro cammino, non andremmo errando sull’oceano dell’essere semplicemente con il piccolo naviglio della nostra ragione”. In questo caso la differenza è che qui il segno guida certamente verso un Mistero che è ormai una Presenza nella storia e non più soltanto un punto incombente ma lontano, come è il Mistero in tutte le formulazioni religiose.


Intervista di Isabella Piro a mons. Luigi Negri, Radio Vaticana, 5 gennaio 2008