Prefazione di Giulio Luporini
Il presente volume, di cui mi è stato chiesto di farne una breve presentazione, in quanto ne ho curato la redazione finale, offre importanti e originali spunti di riflessione sul Risorgimento e sulla nostra identità italiana. Si tratta di un tema oggi più dibattuto che in passato, ma non ancora del tutto liberato dalla retorica che lo ha trasformato in una sorta di mito, o dalla polemica politica che spesso lo ha strumentalizzato in chiave antiunitaria.
Perché parlare oggi di qualcosa che è successo 150 anni fa? Le celebrazioni a cui abbiamo assistito in occasione del 17 marzo 2011 non sempre sono riuscite a rispondere a questa domanda proprio perché in modo retorico si è indugiato ancora su immagini stereotipate, oppure con tono polemico si è messo in discussione la ricorrenza, l’opportunità o meno di celebrare l’anniversario, senza cercare di capire che cosa sia realmente accaduto e che cosa significhi, allora come oggi, essere italiani.
Questo lavoro costituisce un contributo decisivo alla ricostruzione della verità storica al di là della mitologia e delle immagini retoriche con cui si continua a parlare del Risorgimento, senza negare l’importanza dell’unità politica della nazione italiana. Inoltre, in maniera assolutamente acuta, l’autore, mons. Luigi Negri, come sua consuetudine, non si limita a guardare i fatti del passato, cercando di farli emergere per quello che sono, ma li interroga a partire dalla situazione del presente. Allo stesso tempo, in queste pagine risulta chiaro come, rileggere in un certo modo la storia, aiuti oggi ad affrontare quei problemi le cui radici affondano proprio nello stesso Risorgimento: il tema del federalismo, della sussidiarietà, della laicità, della cultura e dell’educazione sono alcuni esempi. Del resto M. Bloch sottolineava proprio come il vero storico si differenzia dall’antiquario perché non è interessato solo al passato, perché nelle sue considerazioni riesce a legare presente e passato:
«l’incomprensione del presente nasce inevitabilmente dall’ignoranza del passato. Ma non è forse meno vano affaticarsi nel comprendere il passato, se non si sa niente del presente. Lo studioso che non abbia il gusto di guardare intorno a sé, né gli uomini, né le cose, né gli avvenimenti, meriterà forse il nome di prezioso antiquario, ma opererà saggiamente rinunciando a quello di storico».
L’autore ci aiuta a prendere coscienza dell’esistenza di un’identità italiana che precede l’unità politica: nazione e stato non sono la stessa cosa. L’identità italiana precede di secoli l’unità politica raggiunta nel 1861. È un’identità culturale e religiosa ciò che molti secoli prima della proclamazione del Regno d’Italia fa sì che esista una nazione italiana. Tuttavia, il libro mostra come la modalità con cui è stata costruita l’unità politica non si sia fondata su tale identità, non l’abbia rispettata, finendo per combatterla, anche violentemente. Si tratta pertanto di un’operazione ideologica con cui si è cercato di costruire una nuova identità italiana (“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”) perché i caratteri di quella esistente sono stati considerati troppo poco progressisti, in quanto ancora ben radicati nella tradizione cristiana.
Grazie alla sua ricca conoscenza teologica e filosofica, l’autore inserisce il fenomeno del Risorgimento, da un punto di vista culturale, all’interno del processo rivoluzionario che segna la modernità, riuscendo così a leggere in profondità gli avvenimenti e a mostrare, superando le immagini distorte di una certa storiografia, la posizione della Chiesa, soffermandosi soprattutto su Pio IX e Leone XIII. Vengono così sottolineati: l’apporto decisivo del cristianesimo per il formarsi della stessa identità italiana; le ragioni dello scontro con lo Stato italiano; il contributo decisivo del Magistero sociale per la difesa della libertà della persona e la promozione di un’autentica democrazia.
Una lettura critica del fenomeno risorgimentale richiede, oltre a riconoscerne i guadagni indiscutibili – l’indipendenza e l’unità statale italiana, l’affermazione di un potere di tipo costituzionale –, di non censurare nessun aspetto, anche quelli più problematici, come viene chiaramente mostrato nelle pagine che seguono: un modello di governo statalista e centralista prevalso fin da subito; il difficile rapporto tra Stato e Chiesa, con la politica anticattolica perseguita dal regno sabaudo; la guerra civile combattuta nel sud Italia.
Si tratta allora di pagine in cui l’indagine storica è accompagnata da riflessioni sull’attualità, sul nostro essere italiani e in particolare sulla responsabilità oggi dei cristiani, in quanto la questione storica apre una serie di questioni che ci interrogano come cittadini e come cristiani. Infatti gli aspetti problematici che vengono evidenziati non sono usati come argomenti polemici per contestare lo Stato italiano. Lo scopo è invece quello di correggere, e in parte lungo questi centocinquant’anni ciò è avvenuto, quanto in questo processo di costruzione dello Stato unitario è risultato non rispettoso dell’identità italiana e della persona. Perché è importante parlarne? Perché è importante prenderne coscienza? Perché sicuramente aiuta a porsi nei confronti dello Stato, delle istituzioni, di chi fa politica, chiedendo che venga rispettato quanto precede lo Stato, quanto deve essere promosso dallo Stato e non soffocato, come a volte è successo, anche a fin di bene. Costruire l’unità politica dell’Italia è sicuramente un obiettivo nobile e giusto, ma i diritti della persona vengono prima e non sempre nel perseguire tale scopo, come ci viene chiarito in questo libro, sono stati riconosciuti e rispettati. La libera iniziativa delle persone e della società viene prima e va tutelata, perché è in gioco la libertà, ma anche perché ne scaturisce una ricchezza che dal punto di vista sociale giova a tutti. È un principio fondamentale. È quello che è stato indicato, con un termine, non a caso, coniato dal Magistero sociale della Chiesa, come principio di sussidiarietà.
Nelle intenzioni dell’autore rileggere il Risorgimento, evidenziandone anche gli aspetti critici, non ha come intenzione riproporre la contrapposizione Stato/Chiesa, cattolici/laici, ma, al contrario, favorire un vero dialogo, superando, da un lato, la posizione laicista che ha contrassegnato buona parte della modernità, dall’altro, una certa chiusura clericale. Più ci si rende conto di ciò e più è facile recuperare un accordo di fondo tra i cattolici e il mondo laico, accordo che è stato in buona parte recuperato, sebbene faticosamente, perché il superamento del dramma delle vicende di cui qui si tratta, non bisogna dimenticarselo, ha richiesto tempo e dialogo.
È ugualmente chiaro, nelle pagine che seguono, come la richiesta di uno Stato autenticamente laico, rispettoso e promotore del principio di sussidiarietà non sia sufficiente. La responsabilità che siamo chiamati a vivere oggi è più grande. La vera attuazione del principio di sussidiarietà richiede cittadini, e forse questo vale a maggior ragione per i cristiani, che siano protagonisti, che siano all’opera, che, prima ancora che rifiutarlo per lo Stato, rifiutino per sé quella visione statalista che, volenti o nolenti, non caratterizza solo una certa nostra politica, ma anche noi. Richiede di muoversi per la costruzione del bene comune, nonostante lo Stato non riconosca ancora del tutto la priorità e il valore positivo della società, come hanno fatto in questi 150 anni i cattolici, fin da subito, anche nei momenti di maggior tensione tra lo Stato e la Chiesa. Il Non expedit, l’esclusione dei cattolici dalla politica, viene spiegato molto bene nel libro, non ha, infatti, certo voluto dire per i cattolici tirarsi indietro. Anzi sono state migliaia le opere nate in molti casi non solo senza il favore dello Stato, ma apertamente ostacolate da esso.
La questione, ci dice allora mons. Luigi Negri, è innanzitutto culturale, ma non c’è vera cultura senza educazione. Uno dei problemi gravi, in cui si può verificare quanto è importante superare quella concezione statalista che ha contrassegnato certa tradizione falsamente liberale del Risorgimento – poi rafforzata da altre componenti culturali (fascismo prima, comunismo poi) –, è sicuramente quello educativo. Ancora oggi la libertà educativa in Italia non è del tutto garantita. La situazione italiana, confrontata con il resto d’Europa, è ancora dominata da una logica statalista, dove salvo eccezioni parziali, non è promossa un’autentica libertà di educazione, perché la scuola è quella statale e solo per concessione, per chi può permetterselo, è quella paritaria, libera. Pubblico è uguale a statale, mentre un servizio pubblico, anche di tipo educativo, se rispetta certe condizioni, non necessariamente deve essere erogato dallo Stato.
Se a questo limite di tipo culturale, prima ancora che politico, si aggiunge l’emergenza educativa determinata dal contesto nichilistico in cui viviamo che rende difficile trasmettere il significato, il valore e la ricchezza della tradizione, si capisce perché mons. Luigi Negri, nelle pagine conclusive, considera come più che mai decisivo, per la Chiesa e per la società italiana, affrontare il problema educativo. È un invito a muoversi in prima persona, chiedendo alle istituzioni che riconoscano e promuovano l’operare della società, perché non è lo Stato che deve fare gli italiani, ma gli italiani che devono fare un’Italia ancora, per certi versi più di prima, da fare.
(Giulio Luporini, Prefazione a Luigi Negri, Risorgimento e identità italiana: una questione ancora aperta, Edizioni Cantagalli, Siena 2011, pp. 5-9)