Vorrei in questa sede riflettere sul rapporto tra ragione e fede, cercando di far percepire tutta la grandezza umana e la responsabilità di quella straordinaria enciclica che è la Fides et ratio, con la quale si può dire che Giovanni Paolo II abbia in qualche modo concluso, non cronologicamente, ma teoricamente, il suo Magistero.
Egli, negli anni del suo pontificato, attraverso una testimonianza eloquente, ha voluto mantenere vivo, secondo una sua espressione, il dialogo tra Cristo e il cuore dell’uomo, convinto, in piena sintonia con quello che la tradizione cattolica afferma da duemila anni, che non c’è altra possibilità di salvezza per l’uomo che l’incontro con Gesù Cristo.
La Fides et ratio fornisce a quest’intendimento una forma, una sottolineatura più particolare: la ragione è il grande strumento della ricerca e la fede, che interviene nella storia dell’uomo ad un certo momento attraverso le vie della Grazia, cioè della presenza di Cristo, non solo non si contrappone alla ragione ma la potenzia. Quindi questo incontro di ragione e fede risulta significativo per l’umanità stessa. Il concetto di redenzione sta a significare appunto che nella fede l’uomo raggiunge quella pienezza di umanità che desidera, che tenta di scoprire e di vivere, ma che non riesce a darsi con le sue sole forze.
Proclamare la fede all’uomo d’oggi vuol dire aiutarlo a recuperare il senso della sua umanità, vuol dire aiutarlo a recuperare il valore della ragione che è l’espressione vera e autentica dell’umanità; valore, che a causa di un processo storico a cui qui accenneremo solo a grandi linee, l’uomo di oggi non sa cogliere, finendo per nutrire una profonda sfiducia nella ragione.
L’uomo contemporaneo che incontra Cristo, proprio perché non è cosciente della sua umanità, proprio perché non riconosce il naturale dinamismo il Vero, il Bene, il Bello e il Giusto, che lo contraddistingue, non è in grado di comprendere che Cristo è la risposta a questi desideri ed esigenze costitutivi del cuore umano.
L’uomo di oggi ha perso il senso della grande questione della vita, rischia di non avere più fiducia nelle sue capacità conoscitive, di non saper riconoscere nella ragione la grande risorsa di cui dispone per comprendere la realtà e prendere coscienza della propria identità. Questa condizione dell’uomo contemporaneo diviene, come viene denunciato nella Fides et ratio, particolarmente tragica soprattutto nei giovani: «Non si può negare, infatti, che questo periodo di rapidi e complessi cambiamenti esponga soprattutto le giovani generazioni, a cui appartiene e da cui dipende il futuro, alla sensazione di essere prive di autentici punti di riferimento. L’esigenza di un fondamento su cui costruire l’esistenza personale e sociale si fa sentire in maniera pressante soprattutto quando si è costretti a costatare la frammentarietà di proposte che elevano l’effimero al rango di valore, illudendo sulla possibilità di raggiungere il vero senso dell’esistenza. Accade così che molti trascinano la loro vita fin quasi sull’orlo del baratro, senza sapere a che cosa vanno incontro» (Giovanni Paolo II, Fides et ratio, 6).
Pertanto il problema del rapporto ragione-fede non è un problema per esperti, per addetti ai lavori, per filosofi, anche se è giusto che coloro che hanno il compito di tener viva la criticità dell’uomo si sentano particolarmente coinvolti a riguardo di ciò. Infatti, riproporre, come fa questa enciclica, il tema del rapporto ragione-fede significa riscoprire la centralità della questione del senso dell’esistenza e allo stesso tempo comprendere il valore eccezionale di Cristo in relazione a tale problema. Quella di Cristo è la proposta di un cambiamento totale dell’esistenza, che comporta il ritrovamento della propria identità e la possibilità di realizzare in pienezza questa identità: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Il cristianesimo si identifica proprio con questa inaudita restituzione dell’uomo a Dio, a se stesso e alla realtà. È dunque una questione fondamentale capire in che cosa consista l’umanità e che cosa doni a questa umanità la Vita, la Passione, la Morte e la Risurrezione di Gesù Cristo e la sua permanente presenza di Crocefisso e Risorto nell’ambito del suo popolo, che è la Chiesa, dove è possibile incontrarLo qui ed ora, come Lo incontrarono Pietro, Giovanni e Andrea.
La Fides et ratio risulta perciò un documento fondamentale per capire il cristianesimo oggi, il senso del cristianesimo rispetto all’uomo di questo tempo che porta sulle sue spalle tutta la grandezza e la fragilità di questo tempo.
Il riaprirsi della domanda di senso, l’articolarsi di questo movimento verso altro da sé da cui si spera il compimento di sé, perché l’uomo è a disagio se non sa perché vive, è il movimento della vita. Non è la dinamica del possesso, del potere, della capacità di dominare, come si è creduto a partire dalla modernità, a definire l’uomo, bensì la domanda di senso. La ragione riapre continuamente la questione del senso dell’esistenza e impedisce, se usata correttamente secondo la radicalità del suo esercizio, di affermare un particolare dell’esistenza e di elevarlo all’assoluto, perché essa capisce di aver bisogno di qualcosa di permanente, di definitivo, di eterno.
All’interno di questo dinamismo che contraddistingue l’uomo si colloca anche il dramma della libertà, perché la ragione non può essere costretta da nessuno a cercare il senso della vita. Essa si muove esprimendo una responsabilità che l’uomo può anche non sentire. La ragione nasce dalla libertà e difende la libertà, permette all’uomo di cogliere il senso della drammaticità della vita. La vita non è un meccanismo, ma un impegno e la libertà è una responsabilità. È un rispondere alle grandi questioni che scaturiscono dal nostro cuore, dalla nostra natura di uomini, che si avvertono nella totale precarietà dell’esistenza, che emergono drammaticamente nell’esperienza della morte, che possono venire favorite o ostacolate dalla storia che ci precede e dalla trama dei rapporti quotidiani. Per questo la ragione cerca di capire e spiegare la morte, o meglio la ragione cerca quel senso profondo della vita che sappia accogliere e spiegare quella apparente fine della vita che è la morte.
Quando Giovanni Paolo II dice “ragione” afferma tutto questo, cogliendo nel movimento dell’Io verso il senso, qualche cosa di inestinguibile, qualche cosa che, don Giussani affermava, non può essere ridotto o eliminato, perché è la stoffa della vita, il dinamismo proprio della vita. Il senso religioso è la struttura e il movimento della vita: l’uomo vive per cercare Dio, se si rassegna a stare al di sotto di questa domanda, a non percepire che questo è il movimento della sua esistenza, è lecito domandarsi se esista ancora l’uomo. Un uomo che perda il senso della domanda religiosa rischia di avere una fisionomia del tutto diversa da quella con cui Dio l’ha pensato e l’ha messo nel mondo. Se si spegne il senso della verità, diceva il mio maestro Gustavo Bontadini, allora occorre chiedersi se non siamo in presenza di una trasformazione antropologica, se non siamo di fronte a uomini che sembrano uomini, ma in realtà non lo sono.