La carnalità della fede

L’identificazione della fede con un’opinione senza corpo è l’ultima terribile forma di eresia, la più subdola e la più applaudita dal mondo. Infatti, il mondo non ha paura di una fede sulla quale si può discutere dal punto di vista delle opinioni.

Reputo importante e urgente richiamare, vista la situazione che stiamo drammaticamente vivendo in questo contesto di pandemia, la carnalità della fede cristiana.

Con l’incarnazione Dio è entrato nella storia, assumendo un corpo concreto, umano, storico, in un’esistenza caratterizzata da un certo contesto sociale, all’interno di tutte le contraddizioni proprie di quella determinata epoca.

Oggi, invece, sembra quasi che sia possibile e, addirittura, preferibile vivere una fede senza corpo.

Nella prospettiva cristiana il corpo non è un elemento di impurità e non è assolutamente vero che la fede sia tanto più pura quanto più sia vissuta lontano dal corpo e, quindi, dalla materia, dalla storia e dalla dialettica culturale e politica insita in essa.

Eppure, sembra che la fede sia astrattamente separata, quasi con un’operazione chirurgica, dalla concretezza della vita. Non vengono più considerate come determinanti la sua storicità e la sua carnalità.

Ne consegue una riduzione della stessa fede a mera spiritualità, a sentimentalismo. Il campo specifico del l’esperienza della fede rischia di essere genericamente identificato con la coscienza individuale, con una fortissima tentazione di viverla soggettivisticamente.

Tuttavia, la contrapposizione carne/spirito o la tendenziale sottovalutazione della carne rispetto a una dimensione meramente spirituale sono due tentazioni di carattere eretico che compaiono, fin dai primissimi tempi, nello gnosticismo.

Il rischio gnostico, come ha chiarito molto bene Jean Guitton, si ripropone continuamente e, quando sembra che sia stato superato, ricompare. Anzi egli indicava proprio nella gnosi l’eresia contemporanea, perché essa, in ultima istanza, deriva dalla tentazione di ricondurre il Mistero a un’opinione.

L’identificazione della fede con un’opinione senza corpo è l’ultima terribile forma di eresia, la più subdola e la più applaudita dal mondo. Infatti, il mondo non ha paura di una fede sulla quale si può discutere dal punto di vista delle opinioni.

La fede non ha un altro spazio nel quale misurarsi, se non quello della vita umana. Se si sottrae alla fede la concretezza della vita, con la fatica, il dolore e persino gli aspetti controversi che la caratterizzano, essa tende a scomparire come evento e a essere sostituita da una serie di opinioni. Il problema della fede diventa un dibattito, una dialettica per stabilire quale sia l’opinione migliore sulla fede; non quale sia la fede vera che sostiene il cuore, ma quale sia la fede più corretta dal punto di vista mondano.

Le principali vittime di questa situazione sono i giovani perché la loro condizione è il punto nel quale questa crisi di fede è più evidente e devastante. Infatti, una fede così non riesce a raggiungere i giovani perché essi hanno bisogno di una proposta integrale. Non si può pensare di introdurre i giovani a una vita cristiana tramite forme di spiritualismo, quale che sia la loro formulazione.

Come insegnava Giussani, la proposta dev’essere «chiara di fronte a chiunque», «elementare nella comunicazione», «integrale nelle dimensioni» (cioè in grado di tenere insieme cultura, carità e missione), «comunitaria nella realizzazione». Giussani ha fissato in queste caratteristiche i tratti essenziali di una proposta di fede ai giovani, perché senza di esse la fede rischia di assumere l’immagine che le conferisce il mondo.

Ma noi non dobbiamo inseguire la fede che piace al mondo, ma la fede di Gesù Cristo, secondo quella che potremmo definire la linea dell’ortodossia. Per la fede è necessaria la carne come per lo spirito, dal momento che l’uomo non è un essere angelico. Senza la carne viene meno la realtà dell’esistenza e, come dice san Paolo, «la realtà è Cristo».

Paolo usa questa espressione in polemica forte con un mondo dominato dai princìpi dell’aria e della terra, dalle presenze inquietanti che allora avevano un’immagine mitologica e che oggi hanno una versione terribile mente ideologica. La realtà non è questa, la realtà è Cristo.

I termini obiettivi della nostra vita non sono riconducibili alle nostre opinioni, ma al nostro essere con Lui e per Lui. Dunque, prendere coscienza di ciò è diversissimo dal fare di Cristo l’oggetto di qualche preziosa, singolare, quando non strana, forma di spiritualità; è diverso dal renderlo oggetto di pratiche spirituali o spiritualistiche.

La fede non è il riconoscimento di valori ideali o sapienziali, ma è consegnare la nostra vita a Cristo che diventa l’orizzonte, il fondamento, l’energia della nostra esistenza.

Partecipare alla grande missione di Cristo è il motivo per cui abbiamo la fede. Per questo, ci diceva sempre don Giussani, abbiamo una vocazione nella Chiesa: partecipare alla gloria reale, carnale di Cristo nella storia, ovvero alla missione della Chiesa.


(Tratto da: Luigi Negri, La carnalità della fede, Opportune et Importune, in «Studi Cattolici», maggio 2021, edizioni ARES)
Nell’immagine in evidenza, Caravaggio, L’incredulità di San Tommaso