Dante & l’amore per la Chiesa

«La speranza è portata nella vita dell’uomo dalla Grazia della fede che incontra la libertà, chiamata a giocarsi nelle circostanze concrete della vita, con piena e totale integralità. Così è generata quella certezza di positività che fa affrontare le situazioni, anche quelle più difficili, con la convinzione che esse siano inserite in un ordine di bontà»

Dante è stato celebrato a lungo nel corso di quest’anno nel quale ricorrono i settecento anni dalla morte (1321-2021), ma raramente l’attenzione è stata posta sul suo essere stato, oltre che il Sommo poeta, anche un grande cristiano. Come cattolici dobbiamo tenerlo ben presente e, proprio per questo, il magistero pontificio non ha mancato, in vari momenti, di evidenziarlo.

Benedetto XV, nella sua Lettera enciclica In praeclara summorum, scriveva che Dante «durante l’intera sua vita professò in modo esemplare la religione cattolica». Paolo VI, nel Motu proprio Altissimi cantus, affermò senza indugi: «Nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire della fede cattolica, perché tutto spirante amore a Cristo; nostro perché molto amò la Chiesa, di cui cantò le glorie; e nostro perché riconobbe e venerò nel Pontefice romano il Vicario di Cristo».

Dante Alighieri ha, infatti, saputo esprimere, con una grandezza poetica di straordinaria eccezionalità, in modo profondo ed estremamente intenso, la sua fede, la sua appartenenza al popolo di Dio, alla Chiesa, verso la quale nutriva un amore totale, senza compromessi di alcun genere.

Da questo suo amore, del quale è intrisa la Divina Commedia, noi possiamo, ancora oggi, seppure a distanza di secoli, davvero imparare ad amare la Chiesa in modo autentico. Anche le espressioni critiche, a volte dure, usate nei confronti di alcuni protagonisti della Chiesa dell’epoca, addirittura nei riguardi di alcuni Pontefici, sono dovute al suo travolgente amore per la Chiesa, che egli desiderava bella e pura, non per merito e coerenza degli uomini, ma per quella Grazia che rende possibile, nonostante i peccati degli uomini e, anzi, proprio attraverso i loro limiti, perché il Signore li redime, il cammino verso Dio.

La poesia di Dante è tutta incentrata sull’affermazione che l’umanità può realizzarsi pienamente solo in Cristo: se accetta Cristo, cammina e si allontana dalla dispersione, dall’errore, dal peccato, dalla costruzione di un mondo sbagliato e disumano. Altrimenti vi sprofonda, come risulta ben descritto nell’Inferno dantesco e come è storicamente documentato dal recente passato del secolo scorso con i tremendi orrori generati dalle «idee assassine», secondo l’efficace formula di Conquest.

L’umanità ha costruito l’inferno sulla terra e, sebbene secondo altre modalità, magari apparentemente meno tragiche, ma con effetti non meno devastanti e per certi versi più subdoli, continua a costruirlo anche oggi attraverso contesti sociali che tendono sempre di più ad annichilire l’uomo, facendogli dimenticare ciò per cui è fatto: il desiderio di vedere Dio.

Desiderio che alberga nel cuore dell’uomo ma che solo Cristo può valorizzare adeguatamente e soddisfare pienamente. Benedetto  XVI,  in una  delle  sue  ultime udienze generali, ce lo ha ricordato affermando che

«il desiderio di conoscere Dio realmente, cioè di vedere il volto di Dio, è insito in ogni uomo, anche negli atei», ma «questo desiderio si realizza seguendo Cristo»  (16 gennaio 2013).

Quella descritta da Dante è quindi un’antropologia piena, adeguata – come diceva san Giovanni Paolo II – che si attua inesorabilmente nella vita del cristiano quanto più segue il mistero di Cristo presente nella Chiesa e vi appartiene incondizionatamente.

È un’antropologia nuova, vissuta e proclamata di fronte a ogni generazione come un grande invito, un grande annuncio, contraddistinto in maniera determinante dalla speranza. Dante Alighieri è un grande esempio di speranza vissuta: egli ci testimonia come la sua fedeltà a Cristo e alla Chiesa, quindi alla verità di sé, abbia reso possibile vivere le tante asperità che ne hanno segnato l’esistenza senza venirne schiacciato.

La speranza è portata nella vita dell’uomo dalla Grazia della fede che incontra la libertà, chiamata a giocarsi nelle circostanze concrete della vita, con piena e totale integralità. Così è generata quella certezza di positività che fa affrontare le situazioni, anche quelle più difficili, con la convinzione che esse siano inserite in un ordine di bontà.

Del resto la speranza è la virtù della Chiesa pellegrina sulla terra, è la virtù di «quel già e non ancora» che caratterizza la cultura che nasce dalla fede, definendone l’ethos e favorendo la nascita di rapporti sociali secondo una prospettiva nuova, non più determinata dal potere e dalla violenza.

La speranza cristiana è fondata nella certezza che la vita non è inutile, non come affermazione teorica, astratta, ma come coscienza viva di un’esperienza per la quale diventa possibile entrare sempre più profondamente nel mistero di Cristo e, alla luce di questo, vivere le vicende di tutti i giorni nell’orizzonte dell’eterno. Per questo il mio grande maestro don Giussani spesso ripeteva che «l’istante, ogni istante della vita cristiana, ospita l’Eterno».


(Tratto da: Luigi Negri, Dante & l’amore per la Chiesa, Opportune et Importune, in «Studi Cattolici», Luglio-Agosto 2021, edizioni ARES)