Giovanni Paolo II: un gigante della fede

Viviamo tempi tormentati, non tanto perché le prove alle quali siamo chiamati sono dure e difficili, anche se effettivamente lo sono; ma soprattutto perché rischiamo di dimenticare la grandezza dei santi, nonostante abbiano vissuto in mezzo a noi. Senza il loro esempio e il loro insegnamento diventa davvero tutto più impervio. Invece, con loro, seguendo Cristo, non c’è nulla da temere.

Mi riferisco in modo particolare a san Giovanni Paolo II, la cui memoria non sempre è adeguatamente vissuta, in alcuni casi addirittura oltraggiata, come abbiamo dovuto vedere nei mesi scorsi, quando certa stampa internazionale ne ha messo in discussione la santità.

Personalmente credo che sia quanto mai decisivo per la vita della Chiesa, come per la vita dell’intera società, non dimenticare Giovanni Paolo II e lo straordinario Magistero che egli ci ha lasciato in eredità perché lo approfondissimo, non solo attraverso uno studio serio e intenso, ma facendolo diventare fonte di ispirazione della vita, criterio con il quale aiutarci a capire e a giudicare la realtà.

Per questo intendo mettere in evidenza alcuni aspetti del metodo che egli, prima ancora di teorizzare e insegnarci, ha messo in atto nell’esercizio del suo ministero.

Come disse Benedetto XVI, in occasione della beatificazione di Giovanni Paolo II,

egli «ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile».

La società sembrava destinata a soccombere definitivamente al nichilismo a cui l’aveva condotta il processo di secolarizzazione intrinseco allo sviluppo di una certa modernità. E invece non è stato così perché è accaduto, negli anni del suo pontificato, qualcosa di veramente singolare. Egli ha saputo rivolgersi all’uomo, non a quello che, allora come oggi, veniva e viene tematizzato dalle ideologie, ma all’uomo reale. Egli ha riaffermato con forza, fin dalla Redemptor hominis, che, nella Chiesa, «Cristo si unisce ad ogni uomo» e l’uomo è svelato «in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione». Egli ha invitato così gli uomini a scommettere su Cristo, a riconoscerlo come la risposta definitiva alle insopprimibili esigenze di bene, di giustizia e di verità; allo stesso tempo, egli ha saputo ridestare nell’uomo l’apertura all’infinito, il movimento della ragione verso il Mistero. Come è stato espresso in modo mirabile nella Fides et ratio, dove è proclamata la sinergia, insieme strutturale e storica, fra fede e ragione, con un reciproco incremento di entrambe le realtà.

Perseguendo tale posizione Giovanni Paolo II ha insegnato contemporaneamente ai cristiani a essere cristiani e ai laici a essere laici. A lui dobbiamo uno straordinario approfondimento dell’identità cristiana, soprattutto attraverso il rilancio della missione come responsabilità affidata a ciascuno di noi attraverso il Battesimo, qualunque sia la forma della nostra vocazione, laica o ecclesiastica. Allo stesso tempo ha insegnato agli uomini a essere uomini, a vivere l’esperienza di quella umanità vera che precede ogni militanza e che spesse volte è tradita dalle forme sbagliate di militanza. Egli ha aiutato cristiani e laici a superare la grande tentazione del razionalismo illuministico, sfociato poi nelle ideologie totalitarie e ancora presente nella società nella quale viviamo.

La Chiesa, in tutte le sue articolazioni, in tutti i suoi modi di essere – diocesi, parrocchie, movimenti, gruppi, associazioni, famiglie –, nella varietà delle sue diverse esperienze, deve riprendere a educare. La sua principale responsabilità è quella di render la fede un cammino – come diceva Giovanni Paolo II sempre nella Redemptor hominis – di assimilazione di «tutta la realtà dell’Incarnazione e della Redenzione». Nella Chiesa, infatti, il cristiano è chiamato a fare esperienza di Cristo, a fare esperienza di Lui nel Sacramento, nella Parola proclamata, nella carità vissuta. Così la fede diventa cultura, diventa criterio di giudizio. Giovanni Paolo II ci ha insegnato che «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».

Guardare a Giovanni Paolo II non significa rifugiarsi nostalgicamente nel passato, ma aprirsi al futuro. Non si può, infatti, pensare di evangelizzare il Terzo millennio senza recuperare i termini essenziali del suo insegnamento per offrirli al popolo cristiano, perché acquisti la piena consapevolezza della missione, e ai laici, perché provino a vivere il più possibile razionalmente e dignitosamente la propria esperienza umana.


(Tratto da: Luigi Negri, Giovanni Paolo II: un gigante della fede, Opportune et Importune, in «Studi cattolici», gennaio 2020, edizioni Ares)