Centro Studi Livatino – don Negri, un’amicizia rivolta a Cristo
di Eva Sala
Ho appreso della morte di Mons. Lugi Negri, Arcivescovo emerito di Ferrara e Comacchio, pochi minuti prima di assistere alla celebrazione del Te Deum di fine anno. Così, durante la funzione, inevitabilmente il pensiero e la preghiera sono stati per lui, per il pastore e l’educatore che è stato e per la sua vita così totalmente spesa e dedicata a Cristo ed alla Chiesa.
Molte volte negli anni mi è capitato di ritornare su un episodio al quale ho assistito, quando ero matricola della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica, a Milano. Da un gruppo di studenti di Comunione e Liberazione era stato organizzato un incontro dedicato proprio a noi matricole, durante il quale don Negri tenne una lezione sull’Inquisizione, in cui confutava con la sua consueta chiarezza e precisione molti luoghi comuni sul tema. Il suo argomentare appassionato e razionale era così efficace che, ancora oggi ricordo i contenuti di quella lezione.
Ma ancora di più ricordo il momento in cui don Giussani, che ascoltava seduto accanto a don Negri, lo interruppe d’impulso, esclamando compiaciuto ed ammirato: “Che cosa grande quando l’allievo arriva ad insegnare al suo maestro!”.
E’ ancora viva l’immagine di questi due preti, così fondamentali nella mia educazione alla vita ed alla fede, seduti uno di fianco all’altro e legati da un’amicizia profonda, costituita e radicata nella totale adesione al servizio alla Chiesa. Il rapporto così umano, a me che li guardavo, rendeva evidente quanto entrambi hanno insegnato a generazioni di giovani: l’amicizia è autentica se instancabilmente tesa e rivolta a Cristo.
Molti anni dopo, a Ferrara in una sala dell’Arcivescovado, ebbi l’occasione di assistere a una lezione che Monsignor Negri tenne ad un piccolo gruppo di studenti universitari. Il seminario ristretto aveva per oggetto “la giustizia” che Monsignore definì come “una delle esigenze irriducibili inscritte nel cuore di ogni uomo, un bisogno essenziale ed assoluto”. Il richiamo ad uno dei passaggi importanti del Senso Religioso, uno degli scritti fondamentali di don Giussani, era evidente.
Eravamo una ventina di persone intorno a un grande tavolo rotondo quando don Negri, che fino a quel momento mi aveva ignorata, fissandomi negli occhi con quel suo sguardo acuto e deciso disse che la professione dell’avvocato consisteva principalmente nel servire e difendere quel bisogno fondamentale dell’uomo, e che l’avvocato era l’ultimo baluardo di difesa dell’uomo dallo strapotere dello Stato: ciò rendeva la nostra professione una delle più nobili che si potesse concepire. Aggiunse, infine, che di questo dovevamo saper portare la responsabilità, ricordando nel quotidiano svolgimento della professione che quel desiderio che eravamo chiamati a difendere era inscritto nel cuore dell’uomo da Dio.
Con poche frasi, Monsignore era riuscito a ricollocare il compito dell’avvocato in un orizzonte più ampio, vocazionale, richiamando all’evidenza di un punto essenziale: che nessun momento dell’esistenza poteva essere utilmente speso se non come servizio alla vocazione, nella forma specifica che a ciascuno di noi è data dalle circostanze, in una continua tensione del cuore verso la realizzazione dell’opera di un Altro.
Indicato il punto ideale cui rivolgere lo sguardo, Monsignor Negri, con il consueto ambrosiano pragmatismo, mi invitò a mettermi a disposizione del Centro Studi intitolato a Rosario Livatino. Ispirandosi all’esortazione a lui così cara di San Giovanni Paolo II – “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”- don Negri con intelligente lungimiranza, da subito aveva infatti riconosciuto e apprezzato gli scopi del CSL, ritenendoli conformi al monito del Santo Pontefice, offrendo per tale ragione il suo costante e generoso appoggio alle iniziative intraprese.
E’ inevitabile e umano, oggi, un sentimento di tristezza. Ma al tempo stesso Te Deum laudamus per averci dato un sacerdote come Monsignor Negri che ha saputo spendere senza risparmio, fino all’ultimo, i suoi meravigliosi talenti, che ci ha insegnato a vivere e a difendere con coraggio la Chiesa, insegnandoci con il suo esempio – inarrivabile – a testimoniare la fede in ogni momento.
di Francesca Meneghetti
Mons. Luigi Negri è stato un grande amico delle Opere fondate da don Didimo Mantiero a Bassano del Grappa, in particolare della Scuola di Cultura Cattolica. Un’amicizia nata da una passione educativa comune e dallo slancio nel voler tradurre la fede in cultura viva e presente. L’amicizia è durata decenni, durante i quali più volte è venuto a tenere incontri e conferenze (la prima il 4 aprile 1984, con il titolo “Cultura: impegno per l’uomo”). Un suo ciclo di lezioni tenuto a Bassano è stato anche raccolto in un volume pubblicato nel 2008 da Cantagalli e intitolato “Lo stupore di una vita che si rinnova”.
L’amicizia, ma soprattutto il riconoscimento dell’opera di mons. Negri nel panorama culturale cattolico, è quindi sfociata nel conferimento – nel 2013 – del Premio Internazionale medaglia d’oro al merito della Cultura Cattolica. Così da allora anche il suo nome figura nell’elenco di coloro che sono stati testimonianza eccellente nel “fare della fede cultura”, assieme a quello di don Luigi Giussani, il maestro con il quale ebbe il suo incontro folgorante con la fede in Gesù.
Il filosofo Gustavo Bontadini scriveva che “se si spegne il senso della verità, allora occorre chiedersi se non siamo di fronte a una trasformazione antropologica, se non siamo di fronte a uomini che sembrano uomini ma in realtà non lo sono”. Riletta oggi, di fronte a questa dichiarazione viene da dire che certamente siamo di fronte a una trasformazione antropologica, perché sempre più sembrano essere le persone che hanno smarrito il senso della verità: quella verità che era una parola tanto cara anche al nostro fondatore don Didimo Mantiero, che ne fece non a caso il fulcro del suo impegno formativo, educativo e culturale. La compagnia di mons. Negri è stata preziosa per tutti noi in questo percorso di ricerca della verità con la ragione sempre aperta al Mistero, nella consapevolezza che l’uomo è una domanda che ad esso tende e nella certezza che la fede non tarpa le ali alla ragione.
Oggi siamo immersi in un contesto in cui la ragione vorrebbe silenziare la fede, ed è una ragione chiusa in se stessa ed ideologizzata. La cultura dominante vorrebbe che la ragione e la fede fossero due universi paralleli che non si incontrano mai e soprattutto vorrebbe che la fede restasse in un angolino il più privato possibile. Ma, come mons. Negri richiamava sempre quando ne aveva l’occasione, la ragione che non sente l’impatto con la fede è come una finestra che resta chiusa sulla realtà. Questo è ciò che con la sua amicizia e con il suo esempio egli ci ha insegnato e per questo ringraziamo la Provvidenza di aver generato nella nostra storia l’incontro con personalità come la sua, sempre coraggiose nell’annuncio della Verità.