Mons. Francesco Lambiasi / Negri, un cuore in fiamme. Penso che se fosse vissuto al tempo di Gesù di Nazaret, il Maestro lo avrebbe associato ai due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, dallo stesso Gesù soprannominati “figli del tuono”
Penso che se fosse vissuto al tempo di Gesù di Nazaret, il Maestro lo avrebbe associato ai due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, dallo stesso Gesù soprannominati “figli del tuono”
Permettetemi, in apertura, una breve confidenza. Fin da quando, una decina di giorni fa, mi è stata cortesemente richiesta la presente celebrazione, ho cominciato a pensare a cosa avrei potuto e dovuto dire al momento dell’omelia. Ma fino a ieri sera, vi confesso, mi portavo in cuore un buio totale. Non ero riuscito a preparare neanche una mezza riga. Da qualche giorno però mi andavo dicendo che mi ci sarei dedicato questa mattina, in una mezza giornata di preghiera, all’eremo di Saiano.
E così ho fatto. Prima di partire, però, ho infilato nello zaino un libro di don Luigi, che ricordavo di possedere, ma di non averlo mai letto. Arrivato all’eremo, ho cercato di lasciarmi scaldare il cuore dalle Lodi del giorno e poi ho ripreso quel libro. Mi ha sorpreso la dedica, dove con calligrafia veloce, l’autore aveva vergato : “A don Francesco, con grande amicizia”. Mi ha colpito la data: 15 settembre 2007.
Ho provato un fiotto di commozione. Era il giorno del mio ingresso a Rimini. Poi sono andato subito alle pagine della presentazione, stesa da un amico comune: Francesco Cattadori. Quindi, nella prefazione, don Luigi spiega che quel libro era la registrazione di un corso di esercizi spirituali da lui svolti ai postulanti francescani nell’indimenticabile convento – peraltro anche a me molto caro – di Monteluco, dove confessava testualmente di aver «rivissuto l’esperienza semplice e totalizzante della fede. Ho detto il mio grazie a Cristo, con umiltà profonda, per tutto quello che ha fatto di me e in me: per questo inesauribile amore a Lui e all’uomo, che rende così lieta, anche nel sacrificio, la mia vita».
Ora, non credo di andare sopra le righe se dico che a questo punto le pagine di don Luigi, lette post mortem, assumono per me il carattere di una sorta di testamento spirituale, e mi permettono più che di parlare io di lui, di prestargli la mia voce e di far parlare direttamente lui a me e a tutti noi.
Passo quindi a sfogliare con voi qualche pagina del suo libro, partendo dalla quarta di copertina:
«La vita cristiana è una storia, non un’idea. E’ la storia del mistero di Cristo nel mistero della Chiesa, per gli uomini, cioè per ciascuno di noi».
In un paragrafo dal titolo: “Dire tu a Cristo”, con linguaggio ardente e con colpi martellati, scrive:
«La fede non è un’operazione esclusivamente intellettuale: quanto più la concepiamo e la realizziamo come pura operazione di carattere intellettuale, “tanto più noi la riduciamo e la svigoriamo, la indeboliamo. E’ l’assenso totale della intelligenza e del cuore, è questa preferenza: Io ti seguirò ovunque tu vada. Non importa che poi gli abbia detto: Non sarei capace, ma l’istinto di quell’uomo era un istinto di fede: Io ti seguirò ovunque tu vada. Andiamo, andiamo a morire con Lui, dicono i figli del tuono; dopo non sarebbero stati capaci di stare svegli un’ora, ma avevano il desiderio di morire con Lui e per Lui.
Il mistero di Cristo è un mistero in cui si penetra con la totalità della vita, intelligenza e affezione, e la sintesi della fede, la sintesi che esprime la fede, si chiama carità, si chiama amore. “Signore, Tu lo sai che ti voglio bene”. Nel mistero di Cristo si entra perché gli si vuol bene; siccome è un bene umano, è un bene intelligente, ma l’intelligenza che espunge l’affezione non è un’intelligenza umana, è l’intelligenza del computer. Il mistero di Dio che si è fatto uomo è un mistero che può essere penetrato e vissuto dalla totalità dell’umanità, intelligenza e affezione. La sintesi della umanità si ha solo quando un uomo dice a un altro ‘tu’. Noi possiamo dire ‘tu’ al Figlio di Dio.
Dobbiamo cercare di dirlo ogni giorno, con profonda consapevolezza e con cuore sempre nuovo. La verità della nostra vita è tutta nell’intensità e nell’autenticità, e quindi nell’intelligenza, con cui diciamo ‘tu’ al Signore ogni momento».
Vorrei ora leggervi qualche passaggio sul mistero della Chiesa. Quando il vescovo Negri arriva a parlare della concretezza e storicità della Chiesa come elementi essenziali dell’esperienza cristiana, scrive con tono da innamorato, e quindi infuocato:
«La Chiesa, che è il mistero di Cristo presente nel mondo, si vede con gli occhi: è una realtà storica, sociale, e quindi è una realtà obiettivamente limitata, perché tutto ciò che è storico è limitato, è contingente, è caratterizzato da condizioni obiettive riferibili al tempo, allo spazio, alla cultura, alle ideologie.
Il mistero è il volto profondo della storia, come il corpo è il mistero della presenza del Verbo di Dio in Cristo Gesù, Gesù di Nazareth, così che non si potevano separare. Separare il mistero del Verbo dalla concretezza storica dell’uomo Gesù di Nazareth vorrebbe dire distruggere il Mistero. Chi separa la storia dal Mistero uccide il Mistero; chi separa Pietro, Giacomo, Andrea e Giovanni, o san Francesco, o ciascuno di noi, dal mistero di Cristo distrugge il mistero di Cristo, perché come il Verbo di Dio si è dato nella carne di Gesù di Nazareth, così Cristo morto e risorto si dà nella concretezza e nella storicità della carne del Suo popolo che è la Chiesa.
Bisogna distinguere le dimensioni, ma non separare la totalità dell’evento; è un evento storico che ha una natura sacramentale e misterica, e perciò che porta direttamente al mistero di Cristo».
Vado a concludere. Mi pare di percepire dal clima che si è creato tra di noi, nell’ascoltare queste ampie citazioni, i colpi impetuosi di un cuore in fiamme. Don Luigi era un cristiano ardente, un vescovo appassionato. Penso che se fosse vissuto al tempo di Gesù di Nazaret, il Maestro lo avrebbe associato ai due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, dallo stesso Gesù soprannominati “figli del tuono”.
Un cuore in fiamme: don Luigi parlava del mistero della Chiesa come un innamorato parla della sua morosa. Con linguaggio da ‘incendiario’. Ma può un innamorato parlare del suo implacabile, incandescente amore con linguaggio frigido, asettico, distaccato?
E io, noi tutti, come parliamo della Chiesa, la sposa di Cristo?
+ Francesco Lambiasi
Omelia Trigesimo Mons. Luigi Negri – Chiesa San Giuseppe Al Porto Rimini – 1 Febbraio 2022
Immagine in evidenza: Particolare, Ultima cena di Rubens, Pinacoteca di Brera