Un’amicizia in Cristo

Pubblichiamo due contributi di mons. Negri sul valore fondamentale dell’amicizia come elemento costitutivo della storia cristiana, in modo particolare del carisma del Movimento di Comunione e Liberazione: una registrazione audio di un breve messaggio di saluto a un gruppo di amici della Fraternità di CL, riuniti per recitare il Rosario; un estratto del suo libro, Con Giussani. La storia e il presente di un incontro.


La grandezza della nostra amicizia

Messaggio di saluto e benedizione

 

Caravaggio, Cena in Emmaus, Pinacoteca di Brera, Milano


La storia di un’amicizia

Io ho meditato molto sul fatto che la storia per noi, che abbiamo incontrato Giussani e, seguendolo, abbiamo contribuito alla vita del Movimento di Comunione e liberazione, a partire da quanto accaduto nelle aule del Berchet, è innanzitutto la storia di un’amicizia. L’amicizia del Signore verso di noi: «non vi chiamo più servi ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,15). Se si parte da questa consapevolezza, allora si capisce che la parola amicizia coinvolge immediatamente tutta l’oggettività dell’esperienza cristiana: siamo amici suoi e, per questo, possiamo essere amici uno dell’altro.

Ancor prima della venuta di Cristo, già nell’Antico Testamento, il rapporto con Dio può essere visto in questi termini: l’amicizia di Dio con gli uomini, attesa e intuita nel chiaro-scuro delle profezie, tradita nelle vicende della vita del popolo di Israele e sempre ripresa dalla volontà di ricominciare. Ma tale prospettiva diventa ancora più chiara nell’avvenimento cristiano: per noi, che abbiamo incontrato Giussani, la realtà della fede non è stata forse un’amicizia? L’amicizia di Cristo ci è arrivata attraverso una compagnia che ci ha reso amici, innanzitutto, a noi stessi. L’incontro con sé stessi, come spesso diceva don Giussani, è stato l’aspetto iniziale, ma determinante, del nostro cammino di fede. Abbiamo capito che la vita non era mangiare, bere, vegliare, divertirsi, studiare. Abbiamo compreso che non era nessuna di queste cose perché esisteva un livello che le precedeva e le sorpassava tutte, rendendole più vere: il problema del senso, il problema del destino e quello del cuore; il problema delle grandi esigenze positive del bene, del vero, del bello. Questa riscoperta di sé, dentro un’amicizia che richiamava al destino, o per usare una formula cara a Giussani, «una compagnia guidata al destino», avveniva indipendentemente dall’educazione ricevuta precedentemente. Si sono incontrati con sé stessi sia quelle persone che partivano da una situazione favorevole perché, come nel mio caso, erano nate in una famiglia cristiana, sia quelle persone che erano nate in una situazione meno favorevole, soprattutto nei decenni a seguire, quando l’esito del processo moderno, con l’inevitabile disgregazione antropologica che ha portato con sé, ha fatto sì che i giovani  vivessero in una situazione patologica di inconsapevolezza delle proprie questioni fondamentali e, soprattutto, di indisponibilità a rischiarsi liberamente nella vita. Ciò è stato bene espresso da Giussani attraverso un’espressione particolarmente efficace, quando alla fine degli anni Ottanta ha parlato di un effetto Chernobyl dello spirito (…).

Questo flusso di amicizia, originatosi nelle aule del Berchet, che ancora adesso non è finito, ha saputo recuperare e far camminare anche i figli colpiti dall’effetto Chernobyl, dentro una compagnia che, anziché assecondarli, li ha saputi ridestare, risvegliando in loro il desiderio del vero, del bello e del giusto, e gli ha fatto sperimentare, allo stesso tempo, la grande convenienza della fede, riaprendo così la possibilità dell’incontro fra il loro cuore e Cristo. Anche costoro, come me, non si deve dimenticare, hanno incontrato la Parola di Dio in una formulazione decisa ma familiare, in un’esperienza di benevolenza che li ha gratificati fin da subito. Hanno seguito una proposta rivolta a loro perché, come era accaduto anche a me, sono stati coinvolti in un’amicizia che gratificava la loro vita, secondo una misura che non era la loro. Se la mia generazione correva il rischio di rinchiudersi nell’esercizio dei propri doveri, quelle successive erano schiacciate dal non senso del consumismo pervaso dal nichilismo, ovvero da una mentalità che ha affermato come unico approccio possibile alla realtà la ricerca del benessere in tutte le dimensioni e gli aspetti della vita: da quello economico, a quello psicologico, a quello affettivo. (…)

Allora la storia, che io ho in comune con tutte le persone che hanno vissuto all’interno di questo flusso di incontri scaturiti grazie al carisma di Giussani, non è bella e ricca ma pur sempre solamente umana, perché è una storia cristiana. Ognuno di coloro che vi abbia preso parte consapevolmente vi è rimasto perché ha incontrato Cristo e non avrebbe saputo dare volto a Cristo se non passando attraverso il volto degli amici. Questo passaggio è assolutamente singolare e non si può fissarne una regola definitiva che lo determini: può accadere che uno debba sostare mesi, se non anni, in questa compagnia, individuando e godendo innanzitutto della sua bellezza naturale, e poi, improvvisamente, quando meno se lo aspetta, vedere sortire da questa amicizia il volto di Colui che è venuto tra noi, e che sta fra noi, «il “Forte” che c’è tra di noi», per usare un’espressione di don Giussani, contenuta nella sua meditazione ai primi esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione del 1982, pubblicata nel volume straordinario Una strana compagnia. Giussani non si stancava mai di invitare a comprendere sempre di più questa esperienza straordinaria perché in essa è davvero contenuta l’essenza stessa del cristianesimo: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14).

Luigi Negri, Con Giussani. La storia e il presente di un incontro, edizioni Ares, Milano, 2019, pp. 81-87