Tutto è compiuto

Pubblichiamo l’omelia di mons. Luigi Negri tenuta in occasione della liturgia della Croce,  il 3 aprile 2015 (Chiesa del Gesù, Ferrara)


Le parole scritte sul ricordo vivo di quelli che sono stati con il Signore e sono stati testimoni della sua passione morte e risurrezione, la Chiesa le ha custodite con venerazione, di generazione in generazione, fino ad oggi. Così che oggi sono di nuovo rivolte alla nostra presenza, al nostro cuore e anche oggi cercano il sentiero che giunge diretto al nostro cuore, per proporre alla nostra umanità la grande presenza di Cristo e la possibilità che ciascuno di noi, in questo incontro, arrivi alla vita vera.

Le parole fluiscono da un inizio in cui il Signore rivela già tutta la sua strapotente personalità ovvero la personalità del Figlio di Dio. Gesù chiese: Chi cercate? Alla risposta «Gesù il Nazzareno», infatti, Gesù disse loro: «Sono lo». Ecco la grande e definitiva rivelazione del nome di Dio, quella che sconvolse positivamente la vita di Mosè, quella che iniziò il grande cammino dell’esodo. Ma chi diceva «Sono lo» era l’attuazione definitiva dell’esodo – non soltanto del popolo di Israele ma di tutta l’umanità dal male, dal dolore, dalla morte, dalla sofferenza – verso la patria nuova, della nuova e definitiva comunione con Dio.

È questa presenza che attira a sé tutto. Sant’Agostino commentando questo capitolo della passione dice che Egli è stato fin dal primo istante il re e tutte le personalità si sono polarizzate attorno a Lui e hanno vissuto la loro funzione nei suoi confronti ma Lui dava senso a quello che facevano; Lui dava senso all’odio del traditore, all’odio delle folle, all’odio di quella segreta e rovinosa alleanza fra il potere sacerdotale, il potere politico e religioso, e il potere romano. Tutto questo odio era per Lui e contro di Lui, per eliminare questa presenza che aveva sconvolto criteri consolidati, gerarchie di potere consolidato. Lui, solo, di fronte a Pilato, come di fronte ad Anna e a Caifa, in una forte dialettica sulle grandi questioni del destino dell’uomo, sulla grande questione della verità – perché il Figlio di Dio è la verità che viene nel mondo – e la verità di Cristo è la verità di Dio ed insieme la verità dell’uomo, come aveva intuito san Giovanni Paolo II: la rivelazione definitiva di Dio e la rivelazione definitiva dell’uomo.

Tutto si polarizza verso Cristo e tutto si compie come volontà cieca, determinata, violenta, di eliminarlo con l’inganno fino al supremo tradimento non soltanto del popolo di Israele verso di Lui, ma del popolo di Israele verso sé stesso e verso la propria storia, perché, pur di ottenere la condanna di Cristo, questa gente dice: «Non abbiamo altro re che Cesare». Ecco la sovversione totale della storia del popolo di Israele che era la storia di un popolo che non aveva avuto nessun re sulla terra, perché l’unico re del popolo di Israele era Dio. Ebbene, per eliminare la presenza di Dio dalla vita e dalla storia, hanno compiuto la suprema bestemmia: contrapporre alla grande e misteriosa compagnia che Dio aveva fatto al suo popolo, nell’alternarsi delle cose grandi, la figura del lontano imperatore romano. Tutto si compie e, quando il Signore esclama «Tutto è compiuto», lo fa perché tutto ciò che lo riguarda è compiuto. Vincono loro e risalta la tristezza delle ultime scansioni fino alla morte e alla sepoltura. Tutto è compiuto! Ma in questo «tutto è compiuto» c’è la suprema certezza del Signore Gesù Cristo. Si compie il senso ultimo della vita e del mondo, perché nella morte del Signore, che prelude alla risurrezione, tutto il progetto di Dio trova il suo compimento e l’uomo può rinascere di fronte a Lui come creatura nuova.

Che queste parole, che la Chiesa medita con commozione totale e affezione infinita da duemila anni, trovino la strada per arrivare alla nostra intelligenza e al nostro cuore. Soprattutto trovino quell’apertura dell’animo che hanno trovato in Maria e in Giovanni e, sentendoci dire anche noi oggi che siamo la sua famiglia, che siamo il luogo dove permane la sua presenza di uomo nuovo, questa familiarità con il Figlio di Dio, nella familiarità della Chiesa, diventi la nostra decisione e il nostro cammino. Il nostro dir di sì alla presenza di Cristo nella sua Chiesa, che travalica lo spazio e il tempo, ci mette vicini a Maria piangente e a Giovanni pieno di dubbi ma determinati a dir di sì, allora anche noi siamo determinati a dir di sì. Ogni giorno, con tutte le nostre fatiche, con tutte le nostre preoccupazioni, con tutte le nostre lacerazioni, pur facendo anche noi l’esperienza di quanto possa il male contro la verità e la libertà di Dio, diciamo con determinazione di sì al Signore, che muore per noi e risorge per noi, e ci fa iniziare un cammino certo e sicuro. È il cammino dell’uomo che sa da dove viene e sa dove va e vede, nella sua vita, segnarsi già i segni della vita nuova che in Gesù si è completamente realizzata e che incontreremo nell’incontro definitivo, gratificante e pacificante con Dio.

Così sia.