Un estratto della meditazione sul Natale pronunciata da mons. Luigi Negri nella Chiesa di San Giorgio, a Ferrara, il primo dicembre 2013. Nella versione podcast e nella sua trascrizione.
Una prima importantissima osservazione è legata a una frase della liturgia ambrosiana, che ho citato tante volte: «L’universo non ti contiene, o Figlio di Dio, eppure il grembo di una Vergine è diventato il tempio della Tua dimora». Il Natale è l’evento di Dio che entra nel mondo attraverso Gesù Cristo. L’evento, il fatto. La prima cosa che sentiamo davanti alla parola “Natale” e alla liturgia non è come noi sentiamo le cose, non è neanche che cosa ci aspettiamo, non è neanche il sentimento di benevolenza verso di sé e verso gli altri, oppure la reazione istintiva, dura che caratterizza i rapporti fra gli uomini, quindi anche fra noi. La prima cosa necessaria che si impone, la cui necessità è alla radice dell’imponenza che poi assume, è che il Signore è venuto, che Dio è venuto – come ripete continuamente S. Agostino – nella nostra carne mortale. Questo è il punto. Questa è la partenza nella vita, la partenza che si deve rinnovare sempre, continuamente. E questo evento ha una sua obiettiva paradossalità: è una cosa enorme che è entrata in un mondo che è segnato dallo spazio, dal tempo, dalla misura, dalla povertà, dal limite, dalla precarietà. Cristo è entrato nella storia e da questa storia Egli, il Figlio di Dio, ha dovuto uscire. Perché nella storia non si sta per sempre se non ad una certa condizione: di essere il primogenito della nuova umanità. Per cui Cristo ha dovuto uscire dalla storia. Il Padre volle che la sua uscita dalla storia fosse legata alla sua passione e morte, fosse legata al disastro che di Lui, della sua vita umana, del suo corpo ha fatto l’odio del suo popolo. Un evento straordinario nella particolarità dell’esistenza, perché la vita umana è sempre una particolarità. La vita umana è protesa verso l’infinito e l’eterno, ma nella sua natura è una particolarità, è qualche cosa che nasce e muore.
Io credo che in questo primo momento occorra rendersi conto – ed è molto importante quello che sto per dirvi – che c’è una grande pedagogia a ritrovare continuamente Cristo; certo, la pedagogia della fedeltà a Lui, la pedagogia della fedeltà alla preghiera, per esempio, la pedagogia della compagnia vissuta. Ma c’è una pedagogia più ampia e più terribile, se volete: è l’esperienza di tutti i giorni.
Come si fa a capire che solo Cristo è il Salvatore dell’uomo e del mondo? Come si fa a capire che quando ogni mattina pronunciamo il nome di Gesù Cristo, quando facciamo il segno di croce, spalanchiamo l’esistenza alla salvezza? Perché lo capiamo? E noi siamo in qualche modo costretti a capirlo con una radicalità più grande di tutte le generazioni che ci hanno preceduto. Perché il mondo è nella inconsistenza, nella indegnità, nella violenza, nella apparenza. Viviamo nella società dell’apparenza, non perché la gente vuole apparire (che sarebbe fin troppo banale, quindi da televisione); è il dominio dell’apparenza perché apparenza è ciò che sembra essere e non c’è. C’è la società? Non c’è più la società. Ci sono dei rapporti umani fra gli uomini? Non ce ne sono più. La violenza domina tutta la realtà della vita sociale, cominciando dalla famiglia e finendo alle grandi strutture nazionali, internazionali e mondiali. C’è il rispetto reciproco? C’è il senso del sacrificio connesso strutturalmente a un cammino di positività? Non c’è più la vita. Perché la vita è tutto questo. Della vita rimane come un simulacro; della vita rimane come un simulacro relegato ad essere una trama di reazioni istintive. O è venuto Lui e torna Lui o siamo finiti. O è venuto sul serio e, siccome è venuto sul serio, ritorna tutti i giorni e l’Avvento è il momento in cui non torna come la prima volta – e ce lo ha insegnato san Carlo in una frase che ho detto tante volte nei ritiri di Natale –, torna ogni giorno, se noi glielo chiediamo; torna ogni giorno, se noi apriamo ogni giorno il cuore della nostra vita alla Sua presenza e gli diciamo: “Vieni, Signore Gesù”, cioè prendi possesso più profondamente. Ma qual è la preoccupazione buona della vita? La preoccupazione buona della vita è riconoscere Cristo. Il resto viene investito da questa domanda. Questa è la luce che illumina e trasforma l’esistenza umana secondo l’intuizione potentissima dell’enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco. La luce di Dio cambia il mondo, la luce di Dio cambia l’uomo, il mondo.
Io ricordo con che stupore ho sentito una volta, verso la fine del suo insegnamento, del suo magistero, don Giussani formulare la questione in termini di una radicalità assoluta: “Viviamo dominati dal nulla, viviamo nel dominio del nulla”, utilizzando un’espressione che mi ha richiamato gli studi di filosofia greca con Severino: tutta la vicenda della filosofia antica è un confronto e uno scontro duro tra la teoria dell’essere e la teoria del nulla. Soltanto che Giussani diceva: “Guardate che il nulla è qui. Il nulla è che un uomo non ha più le ragioni per stare con una donna; non ha più ragioni per mettere al mondo dei figli, non ha più ragioni per lavorare, vive in una situazione tale di pressione da parte delle circostanze esterne che non sa se esiste”. È il nulla del mondo che grida a Dio “Vieni”. «Rorate coeli de super et nubes pluant iustum». Quella bellissima serie di domande che finiscono nell’ultima bellissima strofa: «Consolamini, consolamini popule meus, cito veniet salus tua». Cito veniet salus tua non si riferisce soltanto all’anno XV dell’impero di Tiberio Cesare quando Gesù di Nazaret, formato nel seno della vergine Maria per la fede che lei ha avuto verso Dio, è nato come uomo; non solo allora, ma anche oggi. È il nulla di oggi che grida a Dio, che è venuto, di rimanere con noi e di esserci ancora più appassionatamente accanto. “Vieni, Signore Gesù. Vieni”.
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Quindi, occorre riaprire il cuore della nostra esistenza alla Sua presenza e dobbiamo essere aiutati, educati per fare ciò. È una pedagogia terribile, ma quella del mondo in cui viviamo è una pedagogia. Il mondo non lo sa; il mondo sembra esaltarsi della vittoria che ha su di noi; trionfa, ma non sa che, nel suo trionfo su di noi, ci mette nelle condizioni di capire che solo Cristo è la salvezza; solo Cristo che li ha già vinti, anche se li lascia illudere di essere ancora alla guida del mondo.
“Vieni, Signore Gesù”. Questa realtà irrompe inaspettatamente. Quante volte don Giussani commentando i brani più importanti del Vangelo, soprattutto l’Annunciazione, diceva: “Immedesimiamoci in questa ragazzina di quindici o sedici anni: un istante prima dell’annuncio dell’angelo non poteva neanche lontanamente immaginare e un istante dopo era tutto cambiato”. Un istante dopo quella ragazzina ha assunto la fisionomia determinante della più grande esperienza di fede che esista nel mondo e che non sarà mai superata da nessuno perché si è messa al servizio incondizionatamente di quella presenza che non vedeva ancora, perché ce l’aveva dentro. L’avrebbe vista solo ad un certo momento, ma l’ha amata come se la vedesse, perché ha sentito che quella presenza, a cui dava tutta la sua intelligenza e il suo cuore, si formava dentro la sua esistenza umana e fisica come ogni uomo si forma nella vita fisica sotto il cuore di sua madre. È entrato nella vita dei primi, ma entra nella vita nostra come una irruzione incredibile. Le stelle che a migliaia lo annunciano, la cometa che arriva e questi poveretti che vanno a cercare un posto e non sanno dove andare. Il Figlio di Dio in una spelonca. «La mira Madre in poveri / panni il Figliol compose, / e nell’umil presepio / soavemente il pose; / e l’adorò: beata! / innanzi al Dio prostrata, / che il puro sen le aprì» (A. Manzoni, Il Natale).
Dio è nato come un bambino. Se vogliamo capire di più chi è Cristo, fino in fondo non lo capiremo, se non quando lo vedremo a tu per tu, dobbiamo soffermarci su che cosa vuol dire che Dio è nato come un bambino, il Bambino Gesù. Anche nella grande tradizione artistica, che – come diceva Papa Benedetto a San Marino – è espressione della fede trasmessa di generazione in generazione, il volto di Gesù Bambino è statisticamente diffuso come il volto del Signore che soffre e come il volto del Signore risorto. Perché Gesù Bambino è il Figlio di Dio che nasce dentro la concretezza e la povertà dell’esistenza umana. Non scavalca la concretezza. Un bambino che i suoi facevano fatica a mantenere perché erano poveri; un bambino che sarebbe potuto morire come ne morivano a centinaia di fame, di freddo e di stenti; un bambino che ha aperto la sua intelligenza nel dialogo con sua madre e suo padre. Eppure, in questa precarietà, in questa provvisorietà, forse anche dentro certe tensioni – perché il Figlio di Dio può avere avuto tensioni con sua madre, visto che è nell’ordine della natura – dentro questa piccolezza già ci sono tutte le luci della gloria. Ecco perché il termine del suo cammino, del cammino del Bambino Gesù, che si manifesta Figlio di Dio, che vive la sua missione di Figlio di Dio, è la Parusia, cioè la venuta per giudicare il mondo. Ma è già dentro quello che accade: il mondo si divide. I Magi, che esprimono la cultura autentica, lo riconoscono, mentre Erode, l’espressione del potere, cerca di sopprimerlo, di eliminarlo. Cominciano le grandi sinergie anticattoliche, alle quali adesso assistiamo tutti i giorni. Dice l’apostolo Giovanni che dopo che hanno visto il Signore e lo hanno giudicato un matto, Erode e Ponzio Pilato incominciarono ad andare d’accordo, essi che fino ad allora erano stati nemici.
Un particolare che vibra dell’eterno: questo è il Figlio di Dio che diventa bambino e comincia il suo cammino d’uomo.
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Questo è il cristianesimo: la storia di un uomo che crescendo e maturando ha esplicitato irresistibilmente nel mondo la sua identità di Figlio di Dio e il suo potere di Figlio di Dio e, quindi, ha vissuto il suo compito, la sua missione. Egli si è definito in un modo solo: l’inviato del Padre. (Formalmente non ha mai detto “Sono il Figlio di Dio”. L’ha detto per allusione. Tanto è vero che un sacco di gente, anche cattolica, dice che non si può dire che è il Figlio di Dio perché non lo ha detto).
Il Natale è l’eterno che comincia ad esistere nel tempo, nella vita di un bambino. E questa realtà ha potuto crescere perché ha trovato un contesto che Dio ha preparato per Lui. La festa di San Giuseppe e tutte le liturgie della Madonna, quali che siano le feste che celebriamo, hanno questo leitmotiv: Iddio ha stabilito un contesto chiamando in causa la Madonna e san Giuseppe perché il Figlio di Dio avesse una degna esistenza sulla terra. Ma quando un uomo ha una degna esistenza sulla terra? Quando appartiene a una realtà che lo educa. Per questo la santa famiglia di Nazaret è l’immagine della Chiesa: ha consentito a Gesù di crescere come bambino, di diventare maturo ed è stato il contesto di rapporti umani di reciproche testimonianze che lo ha aperto alla sua vita pubblica, alla sua missione. Tutte le vicende le ha vissute, come noi da bambini, filtrate dai nostri genitori, assumendo da loro i criteri per affrontare la realtà. Cristo, Figlio di Dio, nato come bambino, ha avuto bisogno di una famiglia, del contesto che la natura ha fissato perché un bambino nasca e possa crescere. Ecco, noi adoriamo il Signore Gesù Bambino e non possiamo che collegarlo strettamente, indisgiungibilmente, con suo padre e sua madre, con quella casa, con quel luogo, con quei rapporti, con quelle circostanze, con la buona e la cattiva sorte, con la salute e la malattia.
Ora, tutto questo è normativo, contiene una legge, la legge dell’Incarnazione: l’esistenza sulla terra di una realtà in cui l’Incarnazione ha potuto fiorire e maturare. Per questo l’Incarnazione che continua ha bisogno di un ambito: la Chiesa. Non potete pensare a Cristo che domina il mondo e passa di generazione in generazione senza il suo popolo. Non potete; perdete Cristo. Ha perso Cristo chi ha tagliato il rapporto tra Cristo e il suo popolo, tra Cristo e la Chiesa, cioè fra Cristo e quella compagnia in cui Egli continua ad essere presente in modo reale, non fisico, ma reale. Il fisico non è l’unico modo della realtà. Il sacramentale è altrettanto reale del fisico. Perciò la Chiesa è il luogo dove l’avvenimento di Cristo si ripropone. Come fa oggi Cristo a irrompere nella mia vita? Attraverso la Chiesa. Non c’è un altro modo. Irrompe nella vita dei cristiani, di quelli che chiama ad essere cristiani, attraverso l’esistenza della famiglia di Nazaret dilatata fino al presente. L’immagine più grande e più profetica della Chiesa è la famiglia di Nazaret. È necessaria la Chiesa perché Cristo esista per me. È necessario che esista la Chiesa perché io possa in qualche modo essere afferrato da Cristo e nascere in Lui.
Sapete che cosa dovrebbe richiamarci il Natale? Il Battesimo. Perché è nel nostro Battesimo che Gesù Bambino nasce in noi. È nel Battesimo che viene Cristo. È nel nostro Battesimo, nella povertà degli otto o dieci giorni, del mese o dei due mesi… non andate troppo più in là … perché il problema del Battesimo è che viene Cristo, non che uno è pronto ad incontrarlo, perché, quando capirà, sceglierà lui se andare avanti o no. Le strade cristiane sono due: o si finisce con Giuda o si finisce con i santi. Ma io che sono stato chiamato da Dio a creare una famiglia, quando faccio battezzare mio figlio, consentono che Gesù Bambino nasca nella sua vita, che cominci quella cosa piccola che si chiama presenza di Cristo e fede in Lui. La Presenza di Cristo nasce nella povertà più evidente (un po’ d’acqua e una parola detta dalla Chiesa) dentro al cuore del bambino battezzato, proprio come Gesù Bambino tra le braccia di sua mamma e di suo papà. La Chiesa è luogo della presenza sacramentale del Signore che entra nella nostra vita e ci fa suoi attraverso un suo gesto: il Battesimo. Questa sua vita, che ci viene comunicata, a cui siamo chiamati a partecipare, cresce e matura attraverso ciò che Egli ha stabilito essere i luoghi della sua presenza indiscutibile: i suoi Sacramenti, illuminati continuamente dalla Parola di Dio e dall’Autorità, che è chiamata a guidare la Chiesa non per i propri meriti, ma perché Dio l’ha scelta.