Don Luigi: un dono dello Spirito alla vita della Chiesa

Mons. Massimo Camisasca (Vescovo Emerito di Reggio Emilia-Guastalla)
Omelia della Santa Messa in suffragio di mons. Luigi Negri

Sabato 18 gennaio 2025 – Milano

(LettureIs 62, 1-51 Cor 12, 4-11Gv 2, 1-12)


Cari fratelli e sorelle, cari amici,

è bello ritrovarci a pregare e a pregare assieme per l’anima di un amico da poco scomparso come don Luigi. Ma assieme a lui, forse per la stagione particolare che vive la mia vita, sento affollarsi tutta una serie di nomi di amici cari che sono in cielo. Ho l’esperienza concreta di questo movimento che non vive solo sulla terra, ma che vive già abbondantemente nel cielo. Le nostre radici sono in alto. L’albero della Chiesa è un albero capovolto con le radici in alto. Questo fa sì che la nostra conversazione quotidiana si allarghi e passi dalla terra al cielo e dal cielo alla terra frequentemente e con facilità perché il dialogo con coloro che non sono visibili, ma che sono presenti, non è impossibile, anzi in un certo senso è più facile. Possiamo dire loro tutto ciò che vogliamo, anche ciò che non abbiamo avuto il coraggio di dire quando erano vivi e possiamo ascoltare da loro, attraverso lo Spirito, delle parole nuove, più profonde di quelle che ci hanno detto quando erano vivi.

Quali parole ci dice questa sera la liturgia attraverso le letture che abbiamo ascoltato? La liturgia di questa seconda domenica è una celebrazione della Chiesa non solo nel senso soggettivo, la celebrazione che la Chiesa fa, ma anche una celebrazione che facciamo della Chiesa stessa. È una liturgia che sarebbe piaciuta a don Negri.

Nella prima lettura che cosa abbiamo ascoltato? Delle parole splendide: una descrizione di che cos’è veramente la speranza. Oggi si parla molto di speranza ed è comprensibile che sia così, perché sono talmente tanti i problemi nella cerchia personale, sociale, nazionale e internazionale che la parola che viene da pronunciare è questa: speranza. Ma molte volte questa parola viene usata senza darle un vero significato e diventa così uno slogan e noi sappiamo che le parole diventano slogan quando viene meno il significato che esse vorrebbero veicolare. Perché allora abbiamo in questo brano di Isaia la descrizione di che cos’è la speranza? In che cosa consiste propriamente la speranza? Lo dico sinteticamente: nel guardare il mondo con gli occhi di Dio. Noi troppe volte guardiamo il mondo, la nostra vita personale, ciò che ci è accaduto e ci accade, i travagli e le buone venture, con i nostri occhi e così la nostra disperazione o la nostra esaltazione non ci danno la vera misura della realtà. Guardare con gli occhi di Dio vuol dire vedere un disegno e il disegno di Dio ha un nome: è il suo Figlio. E il disegno del Figlio nella storia del mondo ha un nome: è la Chiesa. Questo testo di Isaia è un testo di alleanza, è il rinnovarsi dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, quell’alleanza che il popolo aveva interrotto un’infinità di volte per la sua continua caduta nell’idolatria. Ma Dio non si accontenta di rinnovare l’alleanza, vuole riempire di doni il suo popolo e quindi descrive questo popolo come la sua sposa. L’alleanza è qui vista come un’alleanza sponsale. Il popolo è una sposa, una sposa adornata di gioielli, una sposa riccamente vestita, la sposa che non sarà più abbandonata, la sposa che vivrà della fedeltà del suo sposo. È una celebrazione della Chiesa. Quante volte noi, guardando la Chiesa, siamo abituati a guardarla con gli occhi del mondo? Le lotte nella Curia, le incertezze dei vescovi, i tradimenti dei preti, il disorientamento del popolo… E non guardiamo più invece la realtà vera della Chiesa che è la continua azione del Padre attraverso il Figlio nello Spirito per rigenerare e ricreare e dare bellezza a questo popolo. Il cardinal Biffi aveva intitolato un suo libro dedicato alla Chiesa La sposa chiacchierata. Ecco oggi si fanno chiacchiere senza ricordare chi è la sposa, anzi senza sapere che è la sposa di Dio.

Un aspetto importante dell’insegnamento che abbiamo avuto da don Luigi Negri è la sua passione per la Chiesa, per la verità della Chiesa, non per le chiacchiere sulla Chiesa. Lui viveva questa passione in un modo totale, forse anche ingenuo talvolta, ma radicale, appassionato.

Così possiamo venire al Vangelo, torneremo dopo sul brano di san Paolo. Anche qui è descritto un matrimonio o, meglio, è accennato un matrimonio, perché del matrimonio che avviene nella realtà non si sa quasi niente, non si sa il nome dello sposo e della sposa, i quali scompaiono in questo racconto. Chi sono lo sposo e la sposa a Cana? Sono Gesù e sua madre, sono Gesù e il popolo, il nuovo popolo di Dio, tutto interamente raccolto nella figura della madre chiamata “donna”, come verrà chiamata alla fine del Vangelo di Giovanni: «Donna, ecco tuo figlio». Il richiamo non è casuale. Dunque anche qui siamo di fronte a un evento sponsale, ma gli sposi sono, ancora una volta come in Isaia, Dio e il suo popolo, e qui nello specifico Cristo e il suo popolo. Dio ha mandato il Figlio per sigillare fino in fondo l’alleanza e la sigilla con il suo sangue. Settecento litri di vino! Ammettiamo anche che fossero tante le persone presenti – voi sapete che le feste di nozze duravano circa una settimana allora in Israele – però ce n’era davvero tanto. Tant’è vero che sant’Agostino, nel suo commento a questo capitolo del Vangelo di san Giovanni, domanda: «ma fin quando durerà questo vino?»; e sempre Agostino risponde: «fino alla fine dei tempi», quindi fino anche a riempire le nostre vite.

Ecco, dunque, che cosa vuole dirci questa sera la liturgia: impara nuovamente che cos’è la Chiesa, non lasciarti tradire e traviare dai discorsi della sociologia, della psicologia, del giornalismo, dei social ma cerca di avere occhi che guardino in profondità che cosa sta accadendo nel mondo. Questa cosa nuova, nascosta agli occhi degli uomini, purtroppo talvolta anche a causa dei tradimenti dei suoi membri, eppure efficace, sacramento di Dio nella storia del mondo.

Vediamo ora alla seconda lettura. Anch’essa è molto importante per comprendere che cos’è la Chiesa e per comprendere quali sono le strade possibili del rinnovamento continuo della vita della Chiesa. La chiesa nasce dalla vita di Gesù di Nazaret, preconizzata già nell’Antico Testamento, ma è lì che nasce. Nasce a Betlemme; nasce a Nazaret; nasce nella predicazione del Verbo fatto carne; nasce nella sua convocazione degli Apostoli; nasce nelle sue guarigioni; nasce, soprattutto, sulla Croce e nella Risurrezione; nasce nella sua donazione e nella certezza che Lui è vivo ed è presente. E questo è proprio la Chiesa: la sua presenza nel tempo. Ma detto tutto questo non è ancora detto tutto, perché c’è un attore della vita della Chiesa che è lo Spirito, che spesso dimentichiamo. Gesù sulla croce, all’ora nona, rese lo spirito. Egli ha donato il suo Spirito e, apparendo dopo essere risorto, dice subito: «ricevete lo Spirito». E poi, il giorno di Pentecoste, lo stesso Spirito è dato in forma definitiva ai presenti e, come promessa, a tutti i popoli del mondo. La Chiesa vive in ogni epoca della storia per i doni che lo Spirito fa ad essa continuamente.

La vita di don Luigi è stato un dono dello Spirito alla vita della Chiesa. Oggi si fa molta fatica a riconoscere i doni dello Spirito. C’è quasi paura. L’istituzione ecclesiale ha avuto sempre un po’ paura dei doni dello Spirito, ma è comprensibile perché essi provocano sommovimento, cambiamento e, quindi, vanno verificati, vanno messi alla prova, indubbiamente, ma poi infine riconosciuti e sostenuti. È un momento in cui la Chiesa sta molto rapidamente prendendo coscienza che le forme che finora avevano retto la sua vita, perlomeno dal Concilio di Trento in poi, non reggono più. Occorrono forme nuove e sono i santi che indicano queste forme nuove, con la loro vita prima ancora che con le loro parole. Questa pioggia di doni dello Spirito che ha segnato la vita della Chiesa nei primi tempi, come abbiamo sentito da san Paolo – che anche a lui avevano portato preoccupazione per le divisioni che avevano creato nella Chiesa di Corinto –, infine viene sostenuta da lui, riconosciuta, regolamentata. Egli invita ad essere fecondi: a ciascuno di noi è stato dato un dono, non dimentichiamolo. È la vita del grande dono dello Spirito che è la Chiesa, è la vita del dono dello Spirito che è il Movimento. Ciascuno di noi ha ricevuto il suo dono e ciascuno di noi deve fare fruttare il suo talento. Ciascuno di noi è chiamato a contribuire al rinnovamento della vita della Chiesa, soprattutto aderendo con cuore libero e ardente al volto di Cristo, alla sua passione, alla sua missione, alla sua sete per tutti gli uomini; ciascuno come può, anche semplicemente offrendo la giornata. Non posso far altro… offro la giornata. Questa giornata sarà poi piena magari anche di lamentele, di stanchezza, di fatiche… ma che importa, io l’ho già offerta al mattino. In questa offerta di tutto ciò che posso, che vorrei ma non posso, sta già il compimento della nostra vocazione ecclesiale. Tutto ciò che posso devo farlo, ma non devo inquietarmi per ciò che non posso o non posso più perché ogni stagione ha le sue regole e i suoi doni.

Così, anche guardando la vita intera di don Luigi, vediamo che ogni stagione della sua vita ha avuto i suoi i doni: anche la parte finale, così segnata dalla malattia e anche dalla difficoltà a relazionarsi con le cose e con le persone, era un dono, perché davanti a Dio niente è insignificante.