
Pubblichiamo qui un estratto del libro di mons. Luigi Negri, Rimettere al centro Cristo e lui solo (edizioni Nerbini). Nel testo che segue, egli, oltre a evidenziare alcuni dei tratti distintivi dell’esperienza carismatica (ad esempio la capacità di aggregazione e quella di educazione), indica nel riferimento all’autorità del Papa e nella disponibilità a vivere la missione nella Chiesa e per la Chiesa le condizioni fondamentali per una piena realizzazione e per una riforma dello stesso carisma.
Il carisma dice un certo livello esplicito di consapevolezza nel formulare e nel proporre la realtà ecclesiale, esprimendo insieme una capacità di aggregazione e una capacità di educazione. La Chiesa ha riconosciuto come carismi quelle realtà che avevano una coscienza chiara della propria ecclesialità, che sapevano aggregare, ma che, soprattutto, rendevano possibile un cammino educativo per quelli che erano stati aggregati. In ogni comunicazione di fede c’è implicitamente, embrionalmente, questa dinamica, perché chi aggrega alla vita della Chiesa attraverso la sua testimonianza offre sempre un’immagine di Chiesa e, in qualche modo, educa. (…)
Allora, il carisma implica senz’altro un riferimento essenziale alla Chiesa perché esprime una modalità di fare esperienza della Chiesa e di educazione alla Chiesa che è estremamente significativa. Esso ha una sua fisionomia che si può rubricare sotto il termine “stringenza”. La vita ecclesiale, in tutti i suoi aspetti, mostra nel carisma una particolare stringenza: “stringe” di più, rende più facile. Non nel senso immediato della parola, ma più facile nel senso pedagogico: infatti, la pedagogia è sempre una facilitazione a sperimentare certi valori, ma la facilitazione non coincide con la facilità con la quale spontaneamente possiamo fare qualcosa. Grazie al carisma c’è una stringenza obiettiva che ha la sua espressione sintetica nella parola “regola”. È un’esperienza di Chiesa “regolata”, non per l’aggiunta di altre regole o leggi alla legge fondamentale della Chiesa, che è caratterizzata dalla communio sacramentale e dall’obbedienza all’autorità; non è un’altra legge, ma una particolare intensificazione. Nel carisma l’esperienza di Chiesa è vissuta più intensamente e, quindi, risulta più vera. (…)
Il carisma offre gli elementi fondamentali dell’esperienza ecclesiale e li comunica in modo vivo, rivelando una capacità di aggregazione importante. Pensiamo a cosa ha significato la prima predicazione di san Francesco, quando le persone, a centinaia, mollavano le proprie case, i titoli nobiliari, fidanzate e fidanzati, per andargli dietro. (…)
Tuttavia nell’aggregazione – penso anche a san Giovanni Bosco, altro esempio importante – vi deve essere anche una straordinaria capacità educativa perché non è sufficiente aggregare, bisogna anche educare. (…)
Questa dimensione è presente, con maggiore o minore esplicitezza, in ogni esperienza ecclesiale, con una nota: l’intensificazione dell’esperienza dell’autorità, che nel caso specifico dei vari ordini e movimenti religiosi, almeno nella maggior parte dei casi, si identifica con il fondatore o con la fondatrice, non è mai, nei carismi che la Chiesa ha riconosciuto fin dai tempi più antichi, sganciata dall’autorità ultima della Chiesa. Deve esistere una particolare prossimità fra chi guida un carisma e chi guida la Chiesa. È una particolare prossimità: può essere anche faticosa, può essere anche dialettica, ma l’autorità di chi guida un carisma non si deve sovrapporre all’autorità di chi guida la Chiesa. Deve tendere a rendere sperimentabile, nel concreto dell’esistenza, quell’esperienza di obbedienza all’autorità che ogni cristiano dovrebbe fare ma che, altrimenti, rischierebbe di fare solo in modo astratto, rimanendo l’autorità abbastanza confinata nella lontananza. Grazie al carisma, allora, c’è una mordenza dell’autorità: l’autorità si pone dentro la vita in maniera esplicita e significativa, intervenendo, proponendo, consigliando, valorizzando, correggendo. Tutto questo non secondo un’autonomia assoluta dalla Chiesa, ma in nesso sostanziale con l’autorità ultima della Chiesa. Questo è uno dei fattori principali che la Chiesa guarda quando verifica un carisma per stabilire se riconoscerlo o meno: che non ci sia nessuna contrapposizione fra l’autorità particolare e l’autorità universale. Per questo, nella storia dei rapporti fra i fondatori di ordini e movimenti, da un lato, e il Papa o anche i vescovi, dall’altro, nonostante possa esserci una certa dialettica, esiste sempre una fiducia di fondo per la quale l’autorità è portata a utilizzare il carisma immediatamente, appena esso emerge in modo chiaro. Uno dei segni della verità di un carisma è la dinamica di corrispondenza che si viene a creare: la facilità dell’autorità del Papa a utilizzarli e la pronta risposta del carisma a seguire le sue indicazioni. Questo ha un valore straordinario dal punto di vista storico e sociale, soprattutto se consideriamo il carisma benedettino: senza i benedettini non sarebbe nata la Chiesa occidentale. L’esperienza del monastero benedettino, offrendo un’immagine compiuta di Chiesa, ha influito sulla nascita delle comunità ecclesiali; in qualche modo, si potrebbe dire che le comunità ecclesiali sono nate come dei monasteri benedettini, ampliandone i confini. Non ci sarebbe stata quella enorme evangelizzazione, più legata alla testimonianza dei monasteri che non alla predicazione, senza la diffusione dei benedettini e questo per esplicita volontà del Papa. Penso, in modo particolare, a Gregorio Magno che ha affidato tale compito di evangelizzazione proprio ai benedettini: senza i benedettini non ci sarebbe stata la Chiesa in Inghilterra, in Scozia, in Irlanda, nel centro dell’Europa; la Chiesa non sarebbe riuscita a estendere il suo abbraccio ai popoli germanici e a quelli slavi. Il tessuto dell’esperienza ecclesiale ha coinciso con l’esperienza benedettina che, senza perdere le sue caratteristiche fondamentali di una comunione guidata, grazie alla Regola, ha saputo assumere la responsabilità ecclesiale accettando le sollecitazioni, gli inviti e gli ordini del Papa.
Quindi, l’utilizzazione dei carismi da parte del Papa, se è vissuta in un clima di vera comunione ecclesiale, non è una strumentalizzazione; anzi normalmente fa emergere tratti del carisma che sarebbero diversamente rimasti forse coperti. Il carisma benedettino, dopo questo grande impiego che Gregorio Magno ne aveva fatto per la nascita della Chiesa in Europa, non poteva essere più com’era prima; qualche cosa di essenziale del carisma è stato fatto emergere proprio attraverso questa obbedienza all’autorità suprema della Chiesa. Credo che il carisma sia potenzialmente una realtà ecclesiale piena che, nel riferimento all’autorità, in particolare all’autorità ultima della Chiesa, trova una sua significativa realizzazione. (…)
La verifica di un carisma vero, autentico, vissuto secondo tutte le sue connotazioni, segnato dalle immagini che la tradizione di quell’ordine o di quella congregazione ha generato, è l’incremento della fede personale e la capacità di contribuire alla missione della Chiesa. Credo che sia questa la sfida aperta continuamente dell’appartenenza a una realtà carismatica. Non ci si deve domandare se ci si trova bene o no, ma se si incrementa o non incrementa la fede, anche nel sacrificio e nel dolore. Certo sacrificio e dolore non bastano perché ci sia un incremento di fede, ma il sacrificio e il dolore sono dimensioni inevitabili del cammino educativo cristiano, quindi non è necessariamente il benessere psico-affettivo del singolo il punto dirimente. L’equivoco su questo punto è la modalità con la quale si è distrutto il matrimonio cristiano anteponendo alla natura e alla realtà del sacramento, come obiezioni ritenute insormontabili, le difficoltà di carattere psicologico, affettivo, relazionale, sessuale. Io credo che questa riduzione della vita della Chiesa a un insieme di atteggiamenti di carattere psico-affettivo sia una cosa terribile. Io credo che sia la più grave tentazione che la vita ecclesiale, in tutti i suoi aspetti, può vivere: quella di incentrare la verifica non sulla fede ma sul benessere. La Chiesa non assicura all’uomo di questo tempo un certo benessere diverso dal benessere che tutti desiderano: tutti desiderano un benessere di carattere materiale, economico, sociale, affettivo mentre la Chiesa, agli spiriti più raffinati, offre anche un benessere spirituale. Questa non è la Chiesa. A chi vive in questo mondo, così determinato da una ricerca affannosa e affannata del benessere, la Chiesa propone la Verità della vita, la realizzazione piena di tutte le dimensioni dell’esistenza. La sfida lanciata da Cristo al mondo non è sul “di meno” ma sul “di più”: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Siamo nel mondo non per aprire a quei pochissimi che hanno qualche interesse di carattere spirituale l’accesso alla cosiddetta vita spirituale; siamo nel mondo per affermare a tutti gli uomini di questo tempo, come di ogni tempo, che senza Cristo non possono essere pienamente uomini. Tutto il grande benessere economico e sociale non è il segno della verità della vita. Il segno della verità è la Presenza di Cristo che pacifica la vita nella buona e nella cattiva sorte, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, facendo diventare strumento di crescita anche le sfide. Un carisma o ripropone con verità tutta l’ampiezza dell’esperienza ecclesiale e se ne fa educatore oppure sostanzialmente finisce per diventare o accettare di diventare un aspetto specifico, particolare, in un mondo ecclesiastico e clericale in cui ciascuno poi ha il suo piccolo posto che nessuno mette in discussione. Invece credo che sia una questione fondamentale tenere ben presente che la Chiesa è permanentemente in riforma, secondo un dato acquisito dalla tradizione, Ecclesia semper reformanda. Ma la riforma significa recuperare in una profondità nuova la propria identità, vivere in un’esperienza attuale e piena la propria identità per il rinnovarsi della missione al servizio della Chiesa e dell’uomo. Questa è la riforma così come si è realizzata e ripetuta più volte nei Benedettini, nei Francescani, nei Cappuccini. La riforma è una riforma identitaria, nell’identità e per l’identità, non contrabbando l’identità, non sostituendo l’identità.