Pubblichiamo l’intervento di mons. Luigi Negri alla Via Crucis di Comunione e Liberazione lungo le mura di Ferrara, venerdì 25 marzo 2016
Commento alla prima stazione
Nella nostra vita corrente, noi non siamo più abituati a pensare al peccato. I pochi che ne parlano ancora lo identificano con le debolezze del proprio temperamento di carattere psicologico, affettivo. Il peccato, per molti di quelli che vanno ancora a confessarsi, è come la comunicazione di un disagio psicologico. Il peccato, invece, è una cosa molto più seria. Il peccato significa eliminare dalla nostra vita la presenza di Cristo ma, prima che essere un fatto morale, il peccato è una cultura; è la cultura di una vita senza Cristo, che tende a svolgersi, magari non direttamente contro Cristo, ma come se Cristo non esistesse, come se Cristo fosse solo un piccolo particolare.
Sforziamoci invece di focalizzare il fatto che, siccome Cristo è tutto per l’uomo, allora non si può fare come se ritornasse ad essere un particolare, religioso magari, come ce ne furono infiniti nella storia della vita religiosa dell’umanità: o Cristo è tutto, o si è contro di lui, e, se si è contro di lui, è perché si ragiona come il mondo. Questa è la radice di tutti i peccati, piccoli o grandi, che ogni tanto confessiamo. La radice di tutto il peccato è il tradimento della mentalità della fede.
Commento alla seconda stazione
Ciascuno cerchi di rispondere per sé stesso a queste domande che Peguy ci ha implacabilmente rivolto: parlano bene di noi, ci trattano bene, riconoscono i nostri meriti, oppure non ci trattano affatto perché non ci considerano facenti parte l’ordine del mondo?
Il Signore ha incominciato a essere vivamente contestato da quelli che fino ad allora l’avevano lodato e Peguy fa passare in rassegna le categorie di tali persone: i genitori, i parenti, i carpentieri. Costoro da un certo momento in poi si sono rivelati i più implacabili dei nemici, cambiando totalmente il parere su di lui, perché non rientrava più dentro i loro schemi di ordine e di tranquillità.
«Ma questo avvenne quando incominciò la sua missione». Questa frase è potente e sintetica perché raccoglie in un termine solo la vita: la passione, la morte, la risurrezione del Signore, la sua missione, il suo essere al servizio del Padre, il suo essere al servizio di quel mondo nuovo che vibrava già dentro di Lui, che si sarebbe formato per sempre in Lui durante la sua missione, e che il Padre avrebbe riconosciuto esplicitamente.
Ma noi che missione viviamo? Siamo gente che il più delle volte non è sentita come cattiva, ma quale è la nostra missione? Noi abbiamo una missione, quella che si è attaccata alla radice del nostro cuore e della nostra vita con il battesimo, quella che la nostra “compagnia” ha prepotentemente richiamato. Il mondo che non ci vede dentro una missione chiara, la quale si forma come capacità di giudizio e di azione, come capacità di condivisione della vita di tutti, come impeto a comunicare Cristo a tutti gli uomini, non si accorge della nostra diversità.
Questo mondo può tranquillamente guardarci come gente che può facilmente inserirsi nell’ordine che poggia sulla loro intelligenza, sulla loro capacità politica, sulla loro convenienza, sui loro progetti, sulle loro consorterie, sulle loro lobby. Il mondo va avanti per loro e gli unici che potrebbero scardinare tutto questo sono le persone che fondano la propria vita su Cristo, che si riannodano alla missione di Cristo e cominciano ad essere dentro il mondo di tutti, ma in modo diverso. Questo è quello che ci viene chiesto a noi questa sera. In caso contrario, non possiamo recuperare la fede, che viene relegata ad una sorta di sentimentalismo buonistico e che dopo un po’, prima di stufare gli altri, stuferà anche noi. Dobbiamo invece recuperare la fede come missione, perché se non è missione allora non è fede.
Commento alla terza stazione
Sono tutti contro di Lui, anche oggi. Allora, come oggi, tutto viene mobilitato perché la sua espulsione dalla storia avvenga il più rapidamente possibile. Sono uniti tutti contro di Lui: il popolo, i sacerdoti, i romani. Tutto il potere di allora. E perché questo possa realizzarsi non si rispettano più neanche le regole del male, perché anche il male ha le sue regole, assurde ma le ha. Per ammazzare Cristo, dice la Sacra Scrittura, «l’empietà si è contraddetta», ha creato cose inaudite. Il processo del Signore, come è stato poi ampiamente studiato e come molti altri processi della storia, fu assolutamente una farsa. Fuori dal mondo perché disturba questa falsa unanimità fra gli interessi di tutti quelli che vi parteciparono: perché Lui avrebbe cominciato a cambiare il mondo e questo sarebbe stato il più grosso disordine che si sarebbe potuto creare, ma non il disordine che gli uomini tentano di creare ogni tanto seguendo le loro ideologie e i loro progetti, ma il disordine di Dio che è l’unico ordine possibile!
Meditiamo su questo inizio della passione, perché è come una ferita aperta nel nostro cuore: io vi dico che questa è la grande ferita aperta nel nostro cuore! Anche se sembrerebbe che il mondo che ci sta intorno non si avventa così contro di noi, come invece fece con Cristo, tuttavia è sotto gli occhi di tutti che cominciano in varie parti del mondo ad avventarsi contro i cristiani solo perché sono cristiani. Ma, di fronte a questa realtà, la maggior parte di noi, soprattutto i più adulti, pensano ancora che possiamo scamparla, perché non sono poi tutti contro di noi. Questo non è vero! Purtroppo, invece, sono proprio tutti contro di noi e, perciò, non vedere questo con chiarezza e non entrare in questo mondo con la certezza e con la forza di portare il “disordine di Dio” è molto grave.
Dobbiamo essere realisti e non accorgersi della falsità che sta attorno a noi è grave: dal male non può nascere il bene, mai!
Commento alla quarta stazione
Il cammino che abbiamo percorso fino ad ora nel variare della poesia di Peguy, nei brani della Sacra Scrittura, nei canti della nostra grande e gloriosa tradizione ecclesiale, ci consente adesso il punto di sintesi sulla passione, la morte e la risurrezione del Signore.
Questo l’ha fissato in maniera impareggiabile sant’Agostino, il quale afferma che il Signore in quel contesto è il dominatore. Durante questa passione nella quale è offeso, percosso, angariato in tutti i modi, violentemente tacitato, Egli è il re e, in tutti i dialoghi, dice la verità vincendo la banalità. Quella banalità, come quella odierna, che uccide, perché la banalità del popolo, dei capi, dei sacerdoti, insieme alla loro mediocrità, è stata il motivo per il quale il Signore è morto. La grande e straordinaria dialettica con Pilato e questo comparire per la prima volta in un contesto pubblico, civile e culturale, danno una grande e vera risposta all’esigenza dell’uomo: la verità. Egli è portatore del regno fondato sulla verità e non uno dei moltissimi regni fondati sul potere. Gesù Cristo ha dominato i suoi interlocutori ed è stato fin dal primo momento il punto di riferimento vivo e attivo di un cammino che ha guidato a Lui.
Amici, dobbiamo ricordare bene questo, perché nella dialettica inevitabile con il mondo, questo compito tocca anche noi, ci coinvolge. Nella dialettica che dovremo sapere aprire con il mondo, la domanda che dobbiamo continuamente aiutarci a fare è la seguente: come possiamo affrontare la vita con la consapevolezza profonda con cui l’ha affrontata Gesù Cristo. Noi abbiamo il pensiero di Cristo, dice san Paolo. La concezione della vita che Cristo ha vissuto ci è stata comunicata e, quindi, esiste un’analogia profonda fra la presenza di Cristo nel mondo e la nostra presenza nel mondo. Noi dobbiamo misuraci sulla sua presenza storica, perché, umanamente parlando, non ha vinto ma è stato sconfitto, tuttavia sostanzialmente ha iniziato nel mondo, attraverso il suo sacrificio, l’unica grande e vera rivoluzione della quale noi siamo insieme protagonisti e testimoni: la missione di Cristo, che si compie definitivamente nella sua passione, morte e risurrezione, è la nostra missione!
La celebrazione del triduo pasquale ha un solo senso: da un lato farci attaccare alle radici profonde della nostra fede che sono la presenza di Cristo che abbiamo percepito in tutta la sua carnalità e in tutta la sua divinità; dall’altro lato ricordarci ciò a cui questa nostra fede tende a continuare nel mondo, ovvero la sua missione, «mi sarete testimoni fino agli estremi confini del mondo».
Non è una nostalgia la nostra, non è semplicemente una consuetudine che il popolo cristiano in questi secoli, prima che scattasse questa grande omologazione del popolo cristiano alla mentalità dominante, ha saputo conservare, non è questo. La Via Crucis, che abbiamo vissuto, è il riappropriarsi da parte nostra della presenza e del destino di Cristo. Abbiamo condiviso questa sua Presenza, ci siamo sentiti e ci sentiamo chiamare a portare avanti nel mondo questa energia di cambiamento che possiamo vivere, perché non è nostra ma ci è data perché da noi venga comunicata a tutti gli uomini. Come per Cristo e così per noi la nostra risurrezione coincide con l’inizio o con il riapprofondirsi ogni giorno della nostra missione cristiana.
Salutandovi vorrei ricordare davanti a tutti con grande affezione e nostalgia don Umberto Poli che, appena arrivato, incontrai proprio alla fine di una Via Crucis alla Certosa. Mi parve una delle personalità che più aveva preso sul serio la verità della nostra compagnia e che più la viveva con l’impeto del suo cuore e con l’energia della sua vita. Siccome noi ne facciamo memoria e sappiamo che la nostra memoria non è un ricordo sbiadito ma il riconoscere la presenza di Cristo con tutti i suoi santi, vorremmo affidargli questa sera la nostra missione, la cosa più grande che abbiamo e forse anche la più iniziale, la più impegnativa e forse anche quella che troppo facilmente dimentichiamo. Che don Umberto, che è stato per molti di voi padre nella fede, sostenga questo nostro cammino, perché si moduli sul cammino di Cristo e di Maria e diventi parte viva dell’unica grande cosa che ha cambiato il mondo: il mistero di Cristo che vive nel mistero della Chiesa.