Nell’amicizia di Cristo ci è dato tutto

Ultima cena di Rubens, Pinacoteca di Brera, Milano

Nell’amicizia di Cristo ci è dato tutto: siamo liberati dal male, siamo avviati verso il cammino nuovo e positivo, non il cammino polveroso del nulla, nel quale l’uomo fa esperienza della sua incapacità a esistere, come papa Benedetto XVI ci ha richiamato con il suo insegnamento.

Messa in Coena Domini

Chiesa Madonna della Medaglia Miracolosa – Milano – Giovedì 29 marzo 2018

Nella convivenza del Signore coi suoi apostoli c’erano stati sicuramente momenti di amicizia, momenti nei quali questa amicizia si era anche attuata nel gesto semplice e profondo della condivisione della mensa. Tuttavia, quella di questa sera è la cena del Signore, il quale stabilisce un rapporto di discontinuità profonda con tutto ciò che era accaduto prima. È la cena nella quale il Signore rivela in maniera definitiva la sua amicizia con il Padre e con gli uomini e stringe l’umanità con un abbraccio nuovo e definitivo in cui si compie tutta l’attesa dell’uomo e tutta la benevolenza del Padre. La cena del Signore è la mensa in cui Egli rivela il suo essere Figlio di Dio in maniera singolare ed unica e il suo essere, allo stesso tempo, amico degli uomini.

La lettura della Passione che abbiamo ascoltato nella sua puntualità, nella sua precisione, nella memoria degli avvenimenti che hanno segnato quelle ore, ci ricorda che, di fronte alla misericordia del Padre e all’amore del Figlio Gesù Cristo, sta il tradimento. La parte che l’uomo può assumere, allora come oggi, è il tradimento, la negazione. Emblematizzato, certamente, dalla figura di Giuda, tuttavia esso è presente in maniera significativa anche nell’esperienza di Pietro. Pietro si pente, ma tradisce. La sua esperienza è quella di un amico che è profondamente condizionato dalla sua mentalità, dalle sue attese e dai suoi progetti. Egli è profondamente condizionato dalla tentazione di ridurre il mistero di Cristo alla sua portata, alla sua misura.

Riaccade oggi per noi, in questo giorno santo e benedetto, la cena del Signore. Riaccade per noi la profonda ed esclusiva certezza della Chiesa: il Signore è presente e ci stringe a sé in un modo unico e definitivo. Ma dobbiamo anche noi prendere coscienza, come i primi, che, a causa nostra, troppo spesso il peccato e l’infedeltà segnano la nostra vita.

Caravaggio, I dicepoli di Emmaus, Pinacoteca di Brera

Noi vogliamo identificarci con tutta la Santa Chiesa di Dio, che in questo Giovedì Santo vive l’irresistibile certezza di essere divenuta, con la morte e risurrezione del Signore, il luogo della sua continua presenza. Il luogo dove Egli, il Signore della vita, si fa incontro a ciascun uomo che lo cerca, investendo l’attesa dell’uomo della sua presenza. Di questo è certa la Chiesa: il Signore non ci tradirà mai. Il Signore ha vissuto fino ad arrivare alla dedizione totale al Padre e ai fratelli. In questa dedizione è nato nel mondo quel popolo nuovo di cui noi siamo gioiosamente parte, il popolo dei figli di Dio, il popolo di coloro che non nascono più dalla carne e dal sangue ma da Dio e, come tali, sono permanentemente generati.

Apriamo il nostro cuore, oggi, alla presenza del Signore, il quale nella cena, che vive con noi, si rivela definitivamente come l’unico che può portarci la salvezza; l’unico nei confronti del quale tutto il peso del male dell’uomo viene perdonato. Ma questo non significa che tutto il peso dell’infedeltà dell’uomo venga sbrigativamente eliminato. Il male dell’uomo viene giudicato da Dio e diviene, così, oggetto anche di un giudizio che l’uomo è chiamato ad assumere su se stesso. Questo giudizio di Dio, assunto consapevolmente dall’uomo, diventa la possibilità che il Signore prenda sulle sue spalle questo male dell’uomo e lo faccia diventare vita nuova, via di salvezza.

Nell’amicizia di Cristo ci è dato tutto: siamo liberati dal male, siamo avviati verso il cammino nuovo e positivo, non il cammino polveroso del nulla, nel quale l’uomo fa esperienza della sua incapacità a esistere, come papa Benedetto XVI ci ha richiamato con il suo insegnamento.

Noi diventiamo protagonisti di questo sentiero positivo della vita, nella quale Cristo ci ha preceduto, nella quale la Chiesa ci accoglie, camminando con noi dietro al Signore perché questa esperienza di vita nuova venga partecipata. Diventiamo protagonisti, ovvero siamo resi capaci di vivere questa novità e soprattutto siamo resi capaci di comunicarla agli uomini che ci circondano.

Il Signore è venuto per la nostra salvezza e ci viene continuamente riproposto nella Chiesa come un fattore che muove la nostra esistenza, che mobilita la nostra vita. Non la mobilita però verso le varie idolatrie che di secolo in secolo si sono presentate agli uomini e nelle quali gli uomini hanno espresso la loro terribile tentazione di fare a meno di Dio, perché noi seguiamo Cristo nella vita della Chiesa e, con tutta la fatica e l’esperienza del limite che facciamo, la nostra vita risposa in Lui.

La nostra vita, che riposa in Lui, diventa così capace di portare lo stesso annuncio a tutte le persone che incontriamo. Questa è la missione. La grande missione ecclesiale si estende, nel profondo della nostra coscienza, fino agli uomini di oggi: questa novità che siamo chiamati a vivere, che si rinnova nel mistero della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, non deve essere tenuta dentro la nostra coscienza, come fosse un aspetto privato della nostra vita. Questa vita nuova deve diventare esperienza per ciascuno di noi e tensione inesorabile a comunicarla a tutti coloro che vivono accanto a noi.

Accettiamo di essere diventati, per l’amicizia di Cristo, amici suoi e accettiamo di spalancare la nostra vita all’amicizia verso tutti gli uomini.


Immagine in evidenza: Ultima cena di Rubens, Pinacoteca di Brera